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 2019  giugno 26 Mercoledì calendario

Presi gli assassini di Mirko l’italiano

NAPOLI Il corpo del giovane era steso ai bordi di una strada di periferia. Il volto schiacciato sull’asfalto, una chiazza di sangue in corrispondenza della bocca. Era la notte del 3 dicembre 2012 e quell’omicidio, già prima di sapere chi fosse il morto, aveva una spiegazione: un’altra vittima della nuova guerra di Scampia, meno appariscente di quella di qualche anno prima, ma allo stesso modo feroce e combattuta tra quelli che una volta erano stati tutti dalla stessa parte.
Ma c’era anche una storia che il ragazzo appena ucciso si portava dietro e che lo rendeva per molti versi differente dagli altri protagonisti di quelle vicende criminali. Non migliore né peggiore: differente. Perché lui era, sì, uno del Sistema, e pure uno importante. Ma non era cresciuto tra le vele di Scampia, non aveva fatto la vedetta, non era mai stato al minorile e nemmeno aveva mai fatto uno scippo o una rapina. Lui era l’Italiano, chiamato così perché non parlava in dialetto. E quella notte di fine autunno è morto senza immaginare che qualche anno più tardi avrebbe ispirato il personaggio dei uno dei protagonisti della serie tv italiana più famosa nel mondo: Gomorra.
La cronaca ci consegna oggi l’arresto di quattro uomini (tutti già detenuti per altre questioni) accusati di essere mandanti ed esecutori materiali dell’agguato. La vittima si chiamava Mirko Romano, aveva 27 anni e in una informativa redatta meno di due mesi prima del suo omicidio, la squadra mobile di Napoli lo indicava come una delle figure di maggior peso all’interno degli scissionisti.
Era in quelle carte che si tracciava il profilo non solo criminale di questo elemento assolutamente «intraneo al clan», come si scrive negli atti giudiziari e investigativi, eppure diverso da tutti gli altri affiliati. Mirko Romano non era cresciuto a Scampia perché abitava in un posto decisamente lontano da quello dei palazzotti e delle piazze di spaccio: era dell’Arenella, zona collinare, tutt’uno con il Vomero, il quartiere della borghesia benestante e dello shopping. Lui non era stato al minorile e non aveva fatto la vedetta e nemmeno scippi o rapine, perché l’infanzia e l’adolescenza le aveva passate andando a scuola, e dopo si era iscritto pure all’università, come era normale che fosse, con la mamma insegnante e il papà impiegato di buon livello.
Fiction e realtà
Venne assassinato
nel 2012 dagli amici di cui si fidava: nella serie televisiva è Valerio
Però un giorno aveva fatto amicizia con certa gente conosciuta frequentando gli stessi locali. Brutta gente, che invece per lui era affascinante. E, cosa ancora più sorprendente, anche Mirko era affascinante per loro. Parlava bene, non alzava mai la voce, aveva carisma e sempre una grande calma. Quella calma che in breve avrebbe fatto di lui, stando alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, uno dei più efficienti killer degli scissionisti, e poi l’uomo di fiducia del reggente del clan obbligato alla latitanza. Lo stesso che oggi è accusato di essere il mandante dell’omicidio, deciso dopo il pentimento di un altro killer e nel timore che anche Romano potesse da un giorno all’altro decidere di collaborare.
Ma Romano temeva di aver perso la fiducia dei capi. Continuava a gestire l’importante piazza di spaccio che gli era stata affidata e la sera in cui fu ucciso andò tranquillamente all’appuntamento con i suoi assassini, che reputava amici. Quando fu ritrovato aveva in tasca tremila euro e una carta di identità falsa. Il nome di battesimo indicato era Valerio: proprio come il personaggio che in Gomorra arriva da Posillipo e diventa un boss di Forcella. E viene ucciso anche lui da uno che credeva fosse suo amico.