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 2019  giugno 25 Martedì calendario

Perché con il prelievo forzoso di 1 miliardo dalla Cdp il ministro Tria mette a rischio il bilancio pubblico

La decisione del ministero dell’Economia, guidato da Giovanni Tria, di chiedere alla Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), controllata all’82,7%, la distribuzione di un dividendo aggiuntivo di 952 milioni di euro, è legittima ma allo stesso tempo pone una serie di problemi da non sottovalutare, tra cui la permanenza della stessa Cdp al di fuori del perimetro dell’amministrazione pubblica. Vediamo perché.Essendo la richiesta del dividendo arrivata esplicitamente dal Tesoro – come tra l’altro recita il comunicato stampa della Cdp – ed essendo il miliardo destinato esplicitamente a contenere il deficit pubblico, insieme ad altre risorse che il ministero di Tria sta cercando di raggranellare in questi giorni, implicitamente si sta mettendo a rischio una delle caratteristiche che ha contraddistinto la Cassa da metà degli anni Duemila fino a oggi: la sua permanenza al di fuori dal recinto del bilancio pubblico. Una connotazione che permette alle sue attività e passività di non essere incluse nel conteggio del debito pubblico e che ha consentito, in più di un’occasione, di trasferire partecipazioni importanti dal Mef alla Cassa destinando il corrispettivo all’abbattimento del debito pubblico.
L’attuale architettura della Cdp era stata pensata dal ministro Tremonti agli inizi degli anni Duemila: una Spa controllata dallo Stato (Mef ha l’82,7%), con la presenza nell’azionariato delle fondazioni bancarie a segnalare un baluardo di mercato alla sua gestione, il tutto posto al di fuori dell’amministrazione pubblica. Applicando anche all’Italia l’esempio della francese Caisse des Dépot et Consignations e della tedesca Kfw che, benché controllate al 100% dallo Stato venivano considerate entità esterne all’amministrazione pubblica e quindi non contribuivano a peggiorare i parametri del debito pubblico. Un beneficio molto utile per due paesi che si apprestavano a sforare il 3% di rapporto deficit/pil  senza però incorrere nelle procedure di infrazione che al contrario oggi si stanno abbattendo sull’Italia.
Dunque con la Cdp incastonata in un delicato equilibrio fatto di controllo pubblico e comportamenti privati e di ‘mercato’, anche per non incorrere negli strali degli aiuti di stato, bassa patrimonializzazione ma rispetto volontario delle regole di Basilea per le banche, il Tesoro nel corso degli ultimi 15 anni ha condotto una serie di operazioni che hanno portato al trasferimento di asset fuori dal suo perimetro ricevendo in contropartita dalla Cassa risorse finanziarie che sono andate ad alleviare la montagna del debito pubblico. Così fu per le dotazioni iniziali di azioni di Eni, Enel, Stm, Terna che uscirono dal recinto del Tesoro e così fu anche nel 2012, sotto il governo Monti e con Vittorio Grilli ministro dell’Economia, quando il Tesoro trasferì a Cdp un pacchetto di attività formato da Sace, Simest e immobili del valore di 10 miliardi.

Tornando a oggi, il blitz del Tesoro volto a convocare in fretta e furia un’assemblea di Cdp per deliberare un dividendo aggiuntivo da circa un miliardo rispetto a quello già importante di 1,55 miliardi distribuito a maggio, rischia di mettere a rischio il fragile castello costruito negli anni intorno alla Cassa e offrendo un’arma di potenziale revisione a Eurostat che aveva certificato la bontà dell’architettura ai tempi di Tremonti. La destinazione delle risorse a riduzione del deficit, infatti, su richiesta diretta del Mef, può rappresentare la prova che Cdp non è effettivamente estranea ai conti dell’amministrazione pubblica. E anche la tempistica molto stretta tra la richiesta e la necessità di far quadrare i conti della prossima manovra di bilancio mette in stretta correlazione il bilancio della Cdp con i conti pubblici.
A ben vedere il Tesoro poteva anche battere un’altra strada se voleva ‘estrarre’ benefici finanziari dalla partecipata Cdp. Come è noto, infatti, la Cassa deposita circa 160 miliardi di risparmio postale presso il conto corrente di tesoreria, ai fini di stabilizzazione del debito pubblico. Il rendimento di questo conto corrente è stato innalzato durante il governo Renzi e con Padoan ministro del Tesoro, pur in un periodo di tassi calanti, per consentire alla Cdp di avere munizioni adeguate a gestire partite importanti, dalla Saipem, al fondo Atlante per il salvataggio delle banche a Open Fiber. La remunerazione del c/c tesoreria è il vero bazooka nel bilancio della Cassa la quale da una parte deve pagare alle Poste una commissione di collocamento dei propri strumenti finanziari ai risparmiatori postali, pari a circa lo 0,6%; dall’altro lucra il rendimento garantito dal Tesoro frutto di un tratto di penna del ministro. Poiché i tassi di interesse sono ancora ai minimi e rimarranno bassi ancora per molto, come annunciato da Draghi, il ministro Tria poteva ridimensionare il proprio esborso per interessi abbassando la remunerazione del conto corrente di tesoreria. Ma evidentemente questa mossa avrebbe mostrato i suoi benefici a partire dall’anno prossimo mentre il ministro ha bisogno di soldi subito per far quadrare i conti della prossima legge di Bilancio. Di qui l’incursione diretta sul dividendo che però lascia le impronte digitali del Tesoro sparse ovunque.
Vi è poi una seconda questione da segnalare: è noto che i rapporti personali tra il vertice della Cassa, formato dal presidente Massimo Tononi (indicato dalle Fondazioni bancarie azioniste con il 15,9%) e dall’amministratore delegato Francesco Palermo (indicato, dopo un duro braccio di ferro con la Lega, dal Movimento 5 Stelle) e la struttura del Mef capitanata dal ministro Tria, non siano tra i più fluidi. Anzi, le occasioni di scontro si sono susseguite nei mesi scorsi, tanto che più volte sono state ipotizzate dimissioni in segno di protesta, come dimostrano anche gli svariati tentativi (almeno quattro) di nominare il nuovo vertice della Sace, al momento ancora senza esito positivo.
Quindi la scelta di far pagare quasi un miliardo di dividendo straordinario dalla Cdp al Tesoro può anche essere interpretato come un segnale della volontà di togliere munizioni importanti dal tavolo di Palermo e per via indiretta al M5s i quali vorrebbero invece la Cassa sempre più impegnata, anche finanziariamente, a risolvere alcune importanti partite industriali, da Tim ad Alitalia.
Nelle prossime settimane si potranno misurare meglio le conseguenze di questa scelta e se vi saranno interventi di qualche tipo da parte di Eurostat o Bruxelles.