Libero, 25 giugno 2019
Facebook vieta monete e francobolli del ventennio fascista
La scultura del dio induista Garuda nella sua figura di uccello? Bannata perché l’aquila poggia i suoi artigli su una svastica, e poco importa che questa risalga a 300 anni fa, ovvero ben prima che Hitler prendesse il potere in Germania. Gli scudetti della X Mas? Vietati, sia mai che resusciti il comandante Borghese. I distintivi dei mutilati sul lavoro e in guerra? Ammessi solo se purgati del fascio, un po’ come se a una cartolina del Duomo debbano essere levate le guglie. La medaglia dell’ordine di Lenin, il padre della rivoluzione d’ottobre che affamò il popolo sovietico? Ammessa, cosa volete che sia... I fregi dei partigiani comunisti e dei titini che insanguinarono l’Istria a guerra finita? Ben vengano, ci mancherebbe altro. La censura antifascista non colpisce solo nelle piazze, sui giornali e in tv, ma anche online e mette nel mirino persino i collezionisti di cimeli storici. Nell’anno 2019, a oltre settant’anni dalla fine della guerra e in un clima così da Ventennio che Casapound e Forza Nuova messe insieme sfiorano addirittura l’1%, succede che se posti su Facebook o su Ebay un oggetto per metterlo in vendita o scambiarlo vieni bannato in un amen. Le sanzioni vanno dai tre ai trenta giorni e solo dopo ricorsi e spiegazioni si può sperare di essere riammessi, come se collezionare libri, foto, fregi e francobolli che nel bene e nel male fanno parte della storia del nostro paese sia un reato. Sui social, per aggirare la tassazione del 10% imposta da Ebay, sono nati decine e decine di gruppi appositi dove poter mettere in vetrina i propri pezzi. Ma non c’è nulla da fare davanti a una caccia alle streghe senza senso e per nulla democratica: appena spunta una svastica e un fascio littorio cala la scure degli algoritmi. Se invece compaiono stelle rosse o falci e martello tutto tace, come se ci fosse un collezionismo più legittimo di un altro. Forse conviene che qualcuno spieghi al signor Zuckerberg e ai suoi cervelloni che chi si iscrive a questi gruppi e posta oggetti del regime non è un pazzo estremista che punta a ricostituire il Partito Nazionale Fascista o a far risorgere Mussolini insieme ai suoi gerarchi: è semplicemente un collezionista mosso dalla passione per la storia che preserva dall’oblio cimeli di valore. «Ci sono migliaia di collezionisti che vogliono abbandonare Facebook perché si sentono prevaricati. Non accettano di dover modificare le immagini che vogliono postare per evitare la censura. Perché dobbiamo deturpare oggetti che sono motivo della nostra soddisfazione proprio perché risalgono a un determinato periodo storico? Non sta né in cielo né in terra», spiega Paolo Uguccioni, 80 anni, grandissimo collezionista di cimeli del Ventennio e non solo. Lui stesso si è visto cancellare da Facebook per aver postato il coltellino da innesto che l’Associazione agricoltori fascisti distribuiva a chi lavorava nei campi. Motivo? In un angolino era rappresentata la faccia del Duce. «Avere paura dei simboli è sinonimo di debolezza, non certo di democrazia. Facebook deve capire che si tratta di oggetti storici, non di discriminazione e odio. Non riesco a capire che attinenza ci sia tra la ricostituzione del partito fascista o nazista e chi vuole collezionare cimeli». Il guaio ulteriore, poi, è che procedendo in questa direzione si censurano reperti dal grande valore economico. Uno scudetto della X Mas, tanto per intenderci, può valere 2.000 euro. Mica bruscolini, anzi. Tanto che qualcuno, grazie alla capacità di diffusione dei social, si è ritagliato un vero e proprio lavoro. Censura antifascista permettendo, ovviamente. Ma come fanno a resistere i collezionisti? «Ci sono milioni di persone implicate in questa faccenda. In tantissimi sono costretti a trovare dei sotterfugi, a cambiare e a scrivere i loro nomi al contrario per non farsi bannare. Ma se non ci fossimo noi collezionisti a tenere viva la storia del Paese?», chiude Uguccioni.