Corriere della Sera, 25 giugno 2019
Intervista a Mattia Barbarossa, il 18enne napoletano alla guida di un’azienda aerospaziale
Mattia Barbarossa ha compiuto 18 anni il 27 gennaio e, dal 4 febbraio, è il fondatore e Ceo di un’azienda aerospaziale. Sta sostenendo la maturità al Liceo scientifico Pasquale Villari di Napoli e sta progettando un satellite che ha vinto un concorso internazionale dell’Agenzia Spaziale Europea e il cui premio consiste in un anno con un ufficio personale all’Università dell’Alabama ad Huntsville, dove fu progettato il primo razzo che portò gli Stati Uniti sulla Luna. Figlio del ceto medio, mamma ragioniera, papà esperto di sicurezza informatica, è autodidatta. Oggi, alle 21, al Palazzo della Cultura di Roma, fra economisti e astrofisici, parteciperà alla tavola rotonda «Space, The Visionary Economy» del Festival Internazionale di Cultura Ebraica. Non è emozionato neanche un po’, avendo tenuto il primo discorso a 13 anni, all’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, tema: «Le missioni di esplorazione dei corpi minori». Non teme neanche l’esame orale, venerdì, avendo superato le prove scritte con venti ventesimi.
Mattia, come nasce la passione per lo spazio?
«Dalla curiosità per i fenomeni della natura e per la Fisica, materia nella quale vorrei laurearmi. Da bambino, passavo giornate a osservare il cratere del Vesuvio, fulmini, treni, aerei. A 15 anni, con due amici, ho partecipato a una competizione, la Lab2Moon, e l’abbiamo vinta con un esperimento per misurare le capacità radio schermanti delle biomasse sulla Luna».
Il progetto che la porterà in Alabama, però, è un altro.
«A ottobre, con una studentessa di Fisica di Torino, Linda Raimondo, ho vinto un altro concorso dell’Esa per startup. Partirò dopo l’estate, ma nel frattempo sono riuscito a ottenere dei finanziamenti da un’incubatrice di startup, la Management Innovation, e ho già fondato la Sidereus Space Dynamics».
Per fare cosa, in pratica?
«Costruire un microsatellite, un CubeSat, che può andare nell’orbita stazionaria della Luna, quella del futuro delle telecomunicazioni e dell’Internet Of Things. In pratica, lavoro a un sistema di trasporto verso lo Spazio profondo».
Cos’è lo Spazio profondo?
«La Space Economy è nata nella bassa orbita terrestre, ma la nuova frontiera è lo spazio profondo, cioè la Luna, gli asteroidi, Marte, per ora non raggiunti dall’economia, ma che presto lo saranno. È qualcosa che mi entusiasma e mi sono detto: devo esserci da subito. Sono, in effetti, il più giovane fondatore al mondo del settore e fra dieci anni voglio essere fra i maggiori attori di questa rivoluzione».
Dove lavora al CubeSat?
«In un caffè letterario, con Roberto Esposito, che studia Ingegneria aerospaziale, e Domenico Giaquinto, che è già laureato. Ci vediamo lì, cacciamo cose strane dallo zaino, assembliamo pezzi col saldatore. Non abbiamo grosse necessità, ci basta stampare qualcosa in 3D che possa fare un volo interplanetario».
E quanto costerà?
«Poco. Ho cercato un’idea il più possibile semplice, piccola ed economica. Il satellite dovrebbe aggirarsi sui 50 mila euro, il prototipo sta costando cinquemila. L’obiettivo è lanciarlo verso la Luna nel 2021».
Lei di che cosa parla coi coetanei?
«Le conversazioni futili mi annoiano, però cerco di non isolarmi: l’errore di chi fa scienza e tecnologia è perdere il contatto con la realtà. In generale, la mia generazione, dovrebbe rendersi conto delle opportunità che abbiamo. Io devo tutto a Internet, che è una risorsa a disposizione di chiunque, se hai la forza di volontà di cercare cose nuove da fare e la curiosità di farle».
Il suo sogno ultimo?
«Costruire una minuscola sonda capace di un volo interstellare fino a Proxima Centauri, la stella a noi più vicina. Sogno qualcosa di molto piccolo che segni un passo grande nella storia dello Spazio».