Corriere della Sera, 25 giugno 2019
Dentro l’università del rave
Tutte le ricostruzioni coincidono. Casino totale. Scena di folla. Un rave.
Il posto: università La Sapienza, quel prato davanti la statua della Minerva. Sotto al Rettorato, tra le facoltà di Lettere e Giurisprudenza. Almeno duemila ragazzi. Venerdì notte. Il buio attraversato da lame di luci stroboscopiche. Molta droga, molto alcol. La musica fa bum bum.
Tutto abusivo, senza permessi. Non si capisce dove siano gli uomini del commissariato di polizia interno all’ateneo. Nemmeno a cercarli, quelli della vigilanza privata. Da notare che il cancello di piazzale Aldo Moro è aperto. La folla entra da lì, vengono giù percorrendo il vialetto alberato. Nessuno sente le urla di Francesco Ginese.
È rimasto con una gamba infilzata nell’inferriata di viale dell’Università, stava scavalcando, arteria femorale tranciata, perde sangue: ha 26 anni, originario di Deliceto (Foggia), laurea in Economia alla Luiss, stage in una multinazionale a Bologna; poi l’idea di venire a questo rave.
I suoi amici lo soccorrono, un’ambulanza lo porta al Policlinico Umberto I. Ma dalla terapia intensiva non esce più. Muore all’alba di domenica. Adesso: il nastro di plastica bianco e rosso della Scientifica intorno all’inferriata e due mazzi di fiori, margherite e rose gialle. Poi anche molti titoli sui giornali, nei tigì le immagini della bolgia notturna dentro l’università più grande d’Europa – 113 mila studenti, 11 facoltà, una buona presenza nei ranking internazionali di qualità.
Il rettore Eugenio Gaudio – 62 anni, insegnante di Anatomia umana – spiega che la cosiddetta «Notte Bianca» è un evento che si tiene «in quasi tutte le altre università italiane». Solo che qui alla Sapienza gli organizzatori ci avevano aggiunto: «Sapienza Porto Aperto». Modesto giochino di parole polemico nei confronti di Matteo Salvini.
La verità è che i collettivi studenteschi non sono più quelli di una volta, certo niente è più come una volta, e nemmeno a stargli a spiegare la magnifica creatività degli Indiani Metropolitani di quarant’anni fa; preistoria, non capirebbero che dentro c’era molta politica e niente del business al quale loro sembrano invece essere piuttosto sensibili.
Per capirci. Un bicchiere di birra: 3 euro. Un cocktail: 5 euro. E tutto al nero. Un affare da almeno ventimila euro a festone – l’ultimo, il «Teppa Fest», un mese fa. Poi sui volantini c’era però scritto: «Partecipate alla nostra iniziativa artistico-culturale che sarà articolata in dibattiti sull’attualità, sport, musica e danze».
Ci aveva creduto poco, il rettore. Così, mercoledì scorso, ha partecipato ad un vertice con il questore e il prefetto.
Professor Gaudio, un vertice inutile.
«Premesso che mi dispiace tremendamente per la disgrazia capitata a quel ragazzo, voglio sia chiaro che io non ho mai autorizzato il rave».
Ripeto: un vertice inutile.
«Sa… i vertici…».
Il ministro Salvini si chiede perché lei tolleri comunque questo genere di festicciole.
«Ma io non tollero proprio un bel niente!».
In rete ci sono numerosi filmati relativi ad altri rave.
«Io sono rettore da quattro anni e mezzo e, da quando mi sono insediato, ho fatto 60 segnalazioni e presentato 19 denunce in Procura. Aggiunga che, a seguito di tutto questo, ci sono 21 persone indagate».
Non ha altro da dire a Salvini?
«Non è mia abitudine replicare ad una autorità di governo. Naturalmente spero sia chiaro a tutti, compreso al signor ministro dell’Interno, un concetto: io non posso entrare nel commissariato di polizia che è dentro il mio ateneo e ordinare agli agenti cosa devono o non devono fare».
Perché il cancello pedonale, venerdì notte, era aperto?
«Io sono un rettore, non uno sceriffo».
Questa è la versione del rettore.
Quella degli studenti è molto più netta.
Voci raccolte fuori la facoltà di Chimica. «Qui i rave si sono sempre fatti». «No, mai nessun problema con la polizia». «Se Salvini volesse partecipare ad una delle nostre feste, ne uscirebbe sicuramente più rilassato».
Di fronte, c’è la facoltà di Fisica. L’aula E. Majorana è occupata. Esce un ragazzo in bermuda, i capelli corti, All Star rosse ai piedi, l’aria – vagamente – da duro.
«Niente nome né cognome, ché la Digos ci mette un attimo. Però posso dirti…».
Cosa ci fate con i soldi che incassate con i rave?
«Servono a pagare gli avvocati che difendono i nostri compagni».
E poi?
«Poi che?».
Non vi resta nemmeno un euro in tasca?
«Ma scherzi?».
No. Mi risulta che dietro la gestione delle vostre feste ci siano anche persone adulte, che non hanno niente a che fare con l’università.
«Ti risulta male».
Pensaci bene.
«Cioè, aspetta: è chiaro che quando fai una festa gigantesca, e devi trovare le casse acustiche e tutto l’occorrente… sì, magari può pure darsi che devi chiedere aiuto a qualcuno e che quel qualcuno voglia essere pagato».
Quindi qualche estraneo c’è?
«Sì, c’è. Però, scusa: dov’è il problema?».
Un’ultima cosa: la droga.
«Gira ovunque, perciò gira anche qui. Il giorno è un problema del rettore. La notte, durante le nostre feste, vigiliamo noi. La nostra discoteca non può diventare un piazza di spaccio».
(Mentre parlavamo, una ragazza è andata al pannello di legno e ha appeso un foglietto: “Morire per una festa/ giovinezza recisa/ conquista l’eterno/ più bel fiore della Sapienza”).