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 2019  giugno 24 Lunedì calendario

Feltri stronca Pansa

Lascio perdere i convenevoli, tipo che gli voglio bene, è un maestro, eccetera. Tutto vero. A Giampaolo Pansa voglio bene ed è un maestro. Mi ha offeso, e ha ferito i lettori di Libero, che l’avevano sopportato amorevolmente, sbattendo la porta senza salutare, trattandomi da censore, ma il tempo medica. Nel suo ultimo libro, un libello del tipo j’accuse come andavano di moda a inizio Novecento, ci sono di mezzo questioni un po’ più interessanti dei rapporti personali tra signori anziani, che palle, e impongono uno sguardo per quel che è possibile lucido sul tema. Constatato che scrivere tre libri l’anno, come ormai fa Pansa, finirebbe per far perdere lucidità anche a Giulio Verne, che per me è il massimo, data la caratura dell’autore vengo al punto, che sta tutto nella copertina. Il titolo dice “Il Dittatore”. Quindi c’è la foto di Matteo Salvini e un sottotitolo che cerca con furbizia di medicare l’asserzione usata già da Charlie Chaplin per Hitler: “Ritratto irriverente di un seduttore autoritario” (Rizzoli, pag. 160, € 17, eBook € 9,99, in libreria da oggi). Altro che irriverenza, il linguaggio è più lapidatorio che lapidario. Va bene così, lo zucchero ingrassa. Non sono le parole, ma i denti cariati, con cui digrigna la sua tesi, a repellere. Scodella ai disgraziati lettori una ribollita (...) segue dalla prima vittorio feltri (...) alla varechina, condita con ripetizioni e citazioni di se stesso per allungare il brodo. Sostiene Pansa che Salvini sia un pericolo per la democrazia, per cui bisogna abbattere questo energumeno, oltretutto malato di sesso come Berlusconi. Magari forse con il voto. Ma non è detto. Ci sono tante possibilità che la fantasia della storia contempla. Per cui stia attento Salvini. Non è detto che il suo percorso verso il potere totalitario possa filar liscio. «Le incognite sono molte», gufa il casalese. Ed elenca con l’allegria: «Si va dalle banali come un’indagine della magistratura o una sconfitta elettorale, sino a quelle più orribili come un attentato». Cita, bontà sua, Kennedy, evitando per un pelo Ceausescu: «...Bastò un cecchino dilettante». Diciamo che il cecchino dilettante è lo stesso Pansa. Il quale, dopo aver dato del Dittatore, con la maiuscola, al suo nemico, confeziona una strategia ad hoc per eliminarlo con un simpatico golpetto. Scrive: «Io una ricetta ce l’avrei. Il presidente della Repubblica, il galantuomo Sergio Mattarella, deve diventare più interventista. E non farsi ingabbiare dalle formalità della nostra Costituzione». Dopo di che si apprende che per “formalità” Pansa intende il voto che determina maggioranze parlamentari. Quisquilie, pinzillacchere davanti al sentire di uomini con il fiuto infallibile del bene e del male. Ed ecco l’ordine di servizio dell’intellettuale illuminato al capo dello Stato: «Obblighi il governo Conte e i suoi padrini, a cominciare dal cosiddetto Capitano leghista, ossia il trucido Salvini, a togliere il disturbo e a ritornare in famiglia, dalle loro consorti o amanti». (Constato qui e addito ad Amnesty la crudeltà di Pansa: niente campo di rieducazione, niente villeggiatura a Procida o a Ventotene, ma sul divano con la consorte o la fidanzata). Dopo di che egli intima a Mattarella: «...metta in sella un governo di salute pubblica, composto da tecnici di provata esperienza. Cerchi il premier giusto, dal polso fermo e senza paura. E lo faccia difendere da militari onesti e di sicura fede repubblicana». Alla obiezione ovvia che trattasi di golpe, risponde: «Meglio un colpo di Stato della lunga agonia che ci lascerebbe stremati». Che tragedia la democrazia, viziata com’è, scrive il tardo epigono del Vate, dal «cancro dell’impotenza e del disonore». Oppone a un possibile dittatore, peraltro tutto nella sua testa, una dittatura subito, magari come in Grecia, con tanti bravi colonnelli e tanti fiori di lillà. Se la logica è quella che gli ha insegnato la zia Caterina, più volte citata dal nipotino Giampaolo, forse dovrebbe cambiare zia. Mi ricordo che era stato Pansa a contestare la sinistra che dava a Berlusconi del potenziale despota. Invocò la fine della «guerra civile verbale». Anche in questo volume, dove peraltro mi cita per un articolo nel quale rimproveravo Salvini per l’abbigliamento (confermo), Pansa rinnova le salutari bordate avverso «il fascismo rosso». A furia di lottargli contro, come certi esorcisti che sfidano il demonio, temo ne sia posseduto. Vade retro.