la Repubblica, 24 giugno 2019
Intervista a Giulia Grillo sulla carenza dei medici
Ottomila professionisti in meno, le ferie estive, il caldo che porta gli anziani nei pronto soccorso. Oggi in Italia la carenza dei medici è un problema enorme. La ministra alla Salute Giulia Grillo propone di affrontarla pagando di più i camici bianchi, per evitare che i giovani vadano all’estero ma anche per premiare chi sceglie le specialità più in difficoltà. Inoltre dà il via libera all’assunzione degli specializzandi agli ultimi anni di corso.
Ministra, in Italia mancano 8 mila specialisti ospedalieri. Perché?
«Non c’è stata un’adeguata programmazione del numero di specialisti da formare rispetto a quelli necessari. Sono vent’anni che la situazione è questa ma nessuno ci ha voluto mettere mano, fino ai miei provvedimenti dei giorni scorsi».
In realtà alcune Regioni hanno da tempo borse extra per gli specializzandi.
«Sono comunque sempre di numero insufficiente e infatti il problema degli organici ridotti c’è anche nelle Regioni più ricche, che in questi anni hanno potuto assumere più di quelle in piano di rientro».
Stranieri, pensionati, militari...
Che cosa pensa delle idee delle Regioni per affrontare le carenze?
«Capisco che l’obiettivo finale sia sempre quello di erogare servizi ma non mi piacciono molto queste soluzioni, anche se emergenziali. Noi lavoriamo per cambiare la situazione in modo strutturale».
Come fronteggiate la crisi?
«Il Decreto Calabria appena adottato permette di far lavorare i medici che frequentano l’ultimo anno della specializzazione, se questa dura 4 anni, o gli ultimi due, se dura 5. Serve a dare una boccata d’ossigeno alle Regioni e a far entrare i giovani nel servizio sanitario con tutele reali. Poi abbiamo sbloccato, anche se non del tutto, il turn over ossia le assunzioni in tutte le Regioni, anche in piano di rientro, cioè le più colpite dal blocco di oltre 10 anni fa».
Le scuole di specializzazione hanno pochi posti?
«Sì ma già da quest’anno avremo il più grande aumento degli ultimi anni di borse statali, che arriveranno a 8.000, abbiamo trovato le risorse per 1.800 posti in più rispetto agli ultimi 5 anni. Non è un intervento risolutivo ma nessun governo prima di noi aveva fatto uno sforzo del genere».
Quanto tempo ci vorrà per vedere gli effetti delle novità?
«Qualche anno, ma i veri vantaggi arriveranno con una riforma della formazione post laurea. Ci lavoriamo col Miur. Vogliamo trasformare il percorso attuale che considera gli specializzandi “eterni studenti” in un modello più vicino a quello dei Paesi avanzati, potenziando il sistema della formazione-lavoro. Già avviene, ma noi mettiamo mano alle regole per dare assunzioni nel servizio sanitario alla fine del percorso di specializzazione. Vanno ridotti i tempi morti, e favorito l’incontro immediato di offerta e domanda».
Come si risolve il problema dei pronto soccorso, i più in difficoltà?
«Avevamo pronta una misura per permettere a chi è stato precario in questi reparti, anche se non specializzato, di fare i concorsi ma ci è stato bloccato dalla Funzione pubblica. Non si è agito bene sull’emergenza-urgenza; spero di avere tempo per cambiare le cose».
Come si ferma l’esodo di laureati
e specializzati verso l’estero?
«Dobbiamo aumentare i salari nella sanità pubblica. Fare il medico è un lavoro ad alta complessità e va pagato bene, qui come in Germania e Francia. Molti poi vanno via perché qui i percorsi sono complicati: si perde tempo per entrare alla specializzazione, poi per fare il concorso».
Come si rinforzano le specialità che attirano meno giovani, come il pronto soccorso e l’anestesia?
«Anche qui bisogna lavorare sull’aspetto remunerativo e della programmazione. Se non paghiamo di più chi decide di fare l’anestesista tra vent’anni ci troveremo senza questi specialisti».
Non è troppo costoso per la sanità aumentare gli stipendi?
«I costi reali del personale si valuteranno quando molte Regioni, grazie anche allo sblocco del turn over, stabilizzeranno i precari che finora erano fantasmi, non sapevamo quanti erano. Tra un paio di anni sapremo infine il valore dei contratti a tempo indeterminato. Intanto chiudiamo il rinnovo del contratto nazionale fermo da 10 anni».
È davvero a rischio l’aumento di due miliardi nel 2020 del fondo sanitario, come temono le Regioni?
«L’aumento è il minimo sindacale dopo anni di tagli. Domani (oggi, ndr) chiederò un incontro al ministro Tria d’accordo con il presidente della conferenza Stato-Regioni Bonaccini per avere garanzie sullo stanziamento. Le Regioni sono preoccupate, ma io più di loro. La nostra sanità in questo momento è asfittica anche nelle aree migliori. Si deve investire sulle risorse umane».
Vuole togliere il numero chiuso a Medicina?
«Eliminerei piuttosto il test di ingresso. Intanto abbiamo aumentato i posti. Erano 10 mila, sono 11.600. La selezione va fatta al primo anno, quando si capisce se un giovane è adatto al percorso di studi.
Non ha senso far laureare migliaia di medici se poi non c’è modo di assumerli. Non voglio produrre disoccupati».