Corriere della Sera, 24 giugno 2019
Tutta la passione di Leonard Bernstein
La lettera, partita dal Grand Hotel Duomo di Milano, è del 4 febbraio 1955. «La Callas è più grande che mai. Si è fatta sottile come uno spillo, ed è definitivamente bella, anche al di fuori della scena. I capelli sono biondo-cenere, veste molto meglio e canta come una bambola (...). Oggi abbiamo fatto una prima lettura della Sonnambula, e mi ha commosso fino alle lacrime». È Leonard Bernstein (1918-1990) che scrive alla moglie Felicia. Fa un certo effetto leggere le Lettere ai familiari, 1945-1990 (Archinto, pp. 168, e 25, edizione italiana a cura di Roberto Di Vanni) per noi abituati dalla tecnologia ad utilizzare una messaggistica molto più breve e distaccata. E Bernstein fra i direttori d’orchestra è stato senza dubbio il più loquace e il più grande comunicatore: con gli Young People’s Concerts, grazie alla televisione, rivoluzionò la maniera di spiegare la musica. Emergono fra le lettere del libro (la maggior parte datate anni 50 e 60) tutta la sua passione, la sua voglia di vivere, l’ebraismo, West Side Story, Candide, il presidente Nixon... Tom Wolfe nel 1970 coniò la definizione (spregiativa) «radical chic» per attaccare Bernstein, reo (ma lui negò sempre) di aver organizzato un party per una raccolta fondi a favore delle Pantere Nere afroamericane.