Corriere della Sera, 24 giugno 2019
Il punto sull’Etiopia
L’Etiopia è un faro dell’Africa, tanto più ora che ha un premier riformista e fuori dagli schemi: in un anno di governo, Abiy Ahmed ha portato una ventata di speranza in una parte di mondo dove la calma piatta è il meteo geopolitico di default. Certo resta molto da fare, e l’appuntamento delle elezioni 2020 rappresenterebbe per il quarantenne primo ministro una tappa di legittimazione importante. Sempre che ci arrivi: il golpe sventato lo scorso weekend è un altro campanello di allarme per un Paese che ha imboccato la via delle riforme e delle pacificazione ma si ritrova alle prese con tensioni crescenti. È vero, quando si scongela un regime monolitico le cose in termini di stabilità possono peggiorare prima di migliorare. E il tentativo di colpo di Stato innescato da un generale responsabile della sicurezza nella regione di Amara (un’etnia che conta il 30% dei 100 milioni di etiopi) è stato subito stoppato. Non prima di fare una vittima eccellente nella capitale Addis Abeba, dove il capo delle Forze armate, Seare Mekonnen, è stato ucciso dalle guardie del corpo mentre cercava di organizzare la risposta ai golpisti.
È stato lo stesso premier a raccontare l’accaduto in tv, il volto teso e la mimetica addosso.
Il capo delle Forze armate era stato nominato da Abiy nel 2018, quando il neopremier aveva deciso un cambio della guardia senza precedenti alla testa dell’esercito e di altri gangli dell’amministrazione. Nelle file dei militari le tensioni legate ai movimenti separatisti si aggiungono a un malcontento diffuso. Nell’ottobre 2018 centinaia di soldati avevano marciato sul palazzo del governo. A giugno un attentato aveva fatto vittime durante un suo comizio: otto poliziotti erano stati arrestati per complicità nell’attacco.
Abiy sotto minaccia: 42 anni, ex militare, laurea in informatica e master in economia, il premier è il primo rappresentante dell’etnia Oromo a guidare l’Etiopia (da sempre governata dalla minoranza tigrina). Il premier si è mosso in maniera sorprendente anche oltreconfine: dalla pace raggiunta con l’eterno nemico eritreo alla difficile mediazione in corso in Sudan, dove Abiy cerca di sostenere la società civile contro le mire del nuovo uomo forte di Khartoum, il generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemeti, ex allevatore di cammelli che deve la sua ascesa alle milizie Janjaweed responsabili di tanti massacri in Darfur.
Il potere di Hemeti poggia anche sul sostegno di leader potenti, a cominciare dal principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Tra tanti regimi autoritari, Abiy rappresenta una ventata di speranza. In molte capitali regionali, gli attacchi alla sua leadership non devono certo dispiacere. L’Occidente non lo lasci solo.