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 2019  giugno 24 Lunedì calendario

A spasso con Moro sulla spiaggia

Eccolo lì, il marziano di Terracina, con il vestito bianco avorio, più chiaro della sabbia, le scarpe nere, lucide, la cravatta scura appena mossa dallo scirocco e una bambina per la mano, sua figlia Agnese. Tutto attorno si vedono ombrelloni aperti, gente in acqua, scene di una ordinaria estate italiana. Un ufo? La foto, scattata da Vezio Sabatini nel 1972, ha fatto storia e quel tipo alto sembra davvero un extraterrestre appena sbarcato da Alpha Centauri. Invece è Aldo Moro che indossa il completino: era il suo modo di «rispettare le istituzioni», pure in vacanza. Due passi sul lungomare Circe, che volete che sia, ma un ministro degli Esteri non può farli in braghe corte e canottiera. «Papà, gli chiedevo, perché ti conci sempre così? – racconta Agnese -. E lui mi rispondeva che, siccome era un rappresentate del popolo italiano, doveva essere sempre dignitoso e presentabile». Sempre. E infatti c’è un’altra immagine che lo ritrae sulla spiaggia, impeccabile nel suo completo grigio, seduto su una sdraio con un libro sulle ginocchia mentre ai suoi piedi la bambina gioca con la rena. Senza fare una piega, sotto il sole estivo, persino con la giacca abbottonata. «Non si sarebbe mai messo uno spezzato – spiega Giorgio Balzoni, ex vicedirettore del Tg1, allievo universitario e politico di Moro -. Gli abiti fratturati, come li chiamava lui, gli ricordavano la sua infanzia di povero in Puglia, quando la famiglia per mandare in giro lui e i suoi fratelli doveva mettere insieme pezzi di vestiti diversi».
Certo, anche lui, l’uomo del compromesso storico e delle convergenze parallele, ogni tanto si metteva il costume da bagno. Amava il mare e si tuffava appena poteva: aveva insegnato a nuotare a tutti i figli, se li caricava sulla schiena e si buttava in acqua con loro. E amava Terracina, 100 km a sud di Roma, dove riusciva a staccare un po’. Non troppo. «Camminava per due ore sul lungomare – ricorda Agnese -, quasi sempre da solo con Oreste», cioè Oreste Leonardi, maresciallo dei carabinieri e capo della scorta, ucciso dalle Br il 16 marzo, il giorno del rapimento. «Una volta, sotto il tempio di Giove, un ragazzo lo fermò e gli parlò per mezz’ora di tutte le cose che secondo lui non funzionavano nel nostro Paese. Papà, dopo averlo ascoltato, gli disse: e tu che fai per l’Italia?». Un’altra volta, gita a Ponza su un peschereccio con la famiglia del senatore Vittorio Cervone. «La traversata era lunga e mio padre era l’unico che non voleva mangiare. Tutti a insistere, a chiedersi il perché del digiuno. Poi si scoprì che all’arrivo lo attendeva il parroco e la possibilità di fare la comunione».
Il legame con Terracina risaliva alla fine degli anni Cinquanta. Nell’estate del 1959, già segretario della Dc, Moro affittò un appartamento dal professor Alfredo Perugini perché «dalle finestre si vedeva il mare». Più tardi insieme ai fratelli decise di comprare alcune casette. Aldo ne scelse una quasi sulla spiaggia, Carlo al primo piano di un palazzo di via Circe, Salvatore e Marina poco distanti. «Da allora ci andò per sempre – dice Gerolamo Gero Grassi, promotore della commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, uno dei massimi studiosi del leader democristiano -. L’ultima volta all’inizio di marzo 1978, una decina di giorni prima dell’agguato di via Fani. Voleva fare vedere il mare al nipotino di due anni, Luca, il figlio della primogenita Maria Fida». Qualcuno scattò una foto mentre i due erano affacciati sul terrazzo: il nonno con un semplice maglioncino sulla camicia, il bimbo con il cappuccio del Montgomery calato in testa. Erano appena tornati dalla passeggiata.
Moro, il «cavallo di razza» della Dc, trotterellava tutti i giorni con un fascio di giornali sotto il braccio, ovunque si trovasse. A Roma, e la scorta era in allarme. A Bari, e sul lungomare si formavano file di persone che volevano vederlo. A Torrita Tiberina, dove passava le vacanze di Pasqua e dove scappava anche per poche ore. A Bellamonte, in Val di Fiemme: lì aveva preso un’altra piccola abitazione. Ma erano quelle di Terracina, con il mare di fianco, le sue passeggiate preferite. Accompagnato sempre da Leonardi, spesso inseguito da un codazzo di bagnanti e curiosi, Moro si fermava volentieri ad ascoltare la gente. «Durante le sgambate – racconta Gero Grassi – incontrava gli amici, parlava con i pescatori e riceveva i notabili politici locali. Poi tornava, chiudeva le tapparelle e scriveva i discorsi più importanti». Niente mondanità. «Cena a casa. Lui cucinava due uova al tegamino, Leonardi lavava i piatti».
Di giorno, quando non camminava e non nuotava, rimaneva per ore sotto i raggi del sole a pensare, guardando il profilo del monte Circeo. Le figlie, allora adolescenti, ricordano ancora la luce del pomeriggio che filtrava dalle persiane e la sagoma immobile del padre sul balcone. Mario Pendinelli, all’epoca cronista del Mondo di Arrigo Benedetti, nell’estate del 1970, andò a trovarlo e lo trovò talmente scuro e abbrustolito in viso da definirlo «un bronzo egizio più antico della storia». Due anni dopo, il 24 agosto 1972, uscirono su Panorama le famose foto di Moro vestito in spiaggia. All’inviato del settimanale che lo intervistava, Guido Quaranta, il ministro degli Esteri confidò: «Avevo proprio bisogno di questo provvido periodo di vacanza». La svolta a sinistra era rientrata e da tre anni Moro, lasciato Palazzo Chigi, era finito all’opposizione nella Dc. 
Le lotte interne, la lite con Kissinger, i tentativi contrastati di aprire al Pci. Non era un bel periodo per Aldo Moro. «Io andai a trovarlo a Terracina il 2 giugno 1974 – racconta il suo ex studente Balzoni, autore del libro Moro il professore – il giorno dopo sarei partito militare. Ero con Fiamma, che sarebbe diventata mia moglie, lui solo con Leonardi. Ed era in giacca e cravatta nonostante fosse appena rientrato dalla solita passeggiata: alla sfilata aveva preferito l’aria di mare. Ci accolse sul marciapiede, abbozzò una specie di abbraccio e ci disse di salire. Pensavo che l’abitazione di un ministro degli Esteri, più volte presidente del Consiglio e segretario del principale partito del Paese, fosse una grande villa con giardino, magari con piscina. Invece entrammo in un appartamentino veramente modesto al secondo piano di un anonimo condominio. Ci scortò nel soggiorno-pranzo. Sulla sinistra c’era un angolo cottura con una pila di piatti appena lavati, sul tavolo l’avanzo di una minestra precotta che soltanto allora Moro ricordò di rimettere in frigo». Basso profilo, una semplicità di modi quasi ostentata. «Che cosa possiamo offrire ai nostri ospiti», chiese Moro. Leonardi allargò le braccia. «Vi va un bel gelatino?». Detto fatto, il maresciallo tornò con delle coppette Algida. «Mentre mangiavamo – dice ancora Balzoni – il professore, in genere sempre prudente, fece a pezzi il vertice della Dc, anticipando in parte le lettere dalla prigione Br. Misasi? Un asino alla Pubblica istruzione. Mario Segni? Il padre era golpista ma almeno era intelligente. Piccoli? Un uomo costituzionalmente portato all’errore. Salvò soltanto Andreotti, lo definì, indovina, furbo. Intanto mangiava il suo gelato».