il Giornale, 24 giugno 2019
Da Salerno a Zurigo per cercare nuove galassie
Luigi Mancini è un astrofisico ricercatore all’Università di Roma Tor Vergata. Originario di Salerno, dopo il dottorato a Zurigo ha iniziato a occuparsi di ricerca di esopianeti nella nostra galassia prima con la tecnica delle microlenti gravitazionali e poi con i transiti planetari. Dopo molto anni al Max Planck Institute for Astronomy in Germania e in Cile, è tornato in Italia.•
L a statistica dice che la presenza di vita oltre quella terrestre nello spazio «è probabile». Ma se immaginiamo un contatto alieno in questo momento rimaniamo nel campo della «fantascienza». Luigi Mancini, astrofisico ricercatore all’Università di Roma Tor Vergata, è prudente, ma ha appena partecipato, unico italiano, a uno degli studi più avanzati nella ricerca di esopianeti, al di fuori del sistema solare: tre anni di osservazione e studio hanno portato alla scoperta di un pianeta con l’ indice di similarità con la terra (Esi) più alto mai riscontrato, 0,95. La completa compatibilità sarebbe 1. Il quasi gemello della terra si trova a 12 anni luce dal sistema solare e il suo nome è Teegarden b. Lo studio è stato condotto dal consorzio Carmenes, formato da istituti di ricerca tedeschi e spagnoli, utilizzando il telescopio dell’Osservatorio di Calar Alto, ed è stato da poco pubblicato sulla rivista Astronomy&Astrophisics. «È una bella scoperta», racconta Mancini, originario di Salerno, che cerca mondi oltre il sistema solare da quando, dopo il dottorato a Zurigo, iniziò a occuparsi di ricerca di esopianeti nella nostra galassia prima con la tecnica delle microlenti gravitazionali e poi con i transiti planetari. Dopo molti anni trascorsi al Max Planck Institute for Astronomy in Germania e esperienze di osservazione astronomica all’osservatorio in Cile, è tornato in Italia. Fa parte della rete del nuovo progetto Eden, che punta a trovare «pianeti abitabili entro 50 anni luce dalla Terra». Il suo è un caso di «cervello», nella fattispecie di cacciatore di terre oltre la terra, che rientra dall’estero.
La ricerca del consorzio Carmenes si concentra sull’osservazione di stelle nane. È stata svolta con la «tecnica Doppler», attraverso le variazioni della «velocità radiale della stella». I pianeti studiati non transitano davanti alla stella dal punto di osservazione della terra. La speranza è ora di trovare dei «transitanti», che potrebbero raccontare molto di più sulla composizione delle loro atmosfere e quindi su una possibile presenza di vita. «Incrociamo le dita», scherza Mancini, che per lavoro cerca qualcosa di infinitamente irraggiungibile: è probabile che esista vita nello spazio, tenuto conto della «quantità di stelle in ogni galassia, centinaia di miliardi solo nella nostra, e il fatto che ognuna abbia almeno un pianeta». Ma «è difficile che l’essere umano possa entrarvi in contatto. Le distanze in gioco sono troppo grandi, geologiche, si parla di milioni di anni».
Sono stati trovati sinora 19 esopianeti simili alla Terra. Simili significa che su tutti e 19 potrebbe essere presente l’ acqua allo stato liquido per la loro distanza dalla stella di riferimento in relazione alle sue caratteristiche. Al primo posto c’è l’ultimo scoperto, Teegarden b, nella costellazione dell’Ariete. La temperatura media stimata è di 28 grandi centigradi. La massa è di poco superiore a quella terrestre. La differenza è che il suo «anno», l’orbita intorno alla stella, dura poco meno di cinque giorni. La Teegarden, è del resto dieci volte più piccola del Sole. È stato trovato anche un suo parente, il Teegarden c. Si trova nella «fascia abitabile» e ha una temperatura media stimata di -47 gradi.
Prima di partecipare a questo studio, Mancini ha scoperto una settantina di esopianeti durante un lungo periodo trascorso ad Heidelberg. Erano tutti giganti di natura gassosa, come Giove e alcuni «Supernettuniani». Attraverso l’osservazione degli spettri delle stelle, ne ha valutato anche l’atmosfera. Nell’ultimo studio di Carmenes, invece, la composizione è rocciosa e soprattutto nel caso di Teegarden b, «la radiazione che riceve dalla sua stella è più o meno equivalente a quella che la Terra riceve dal Sole». Saranno necessari anni perché un supertelescopio possa puntare direttamente queste terre potenzialmente abitabili. «Ma almeno», assicura il nostro astrofisico, «indichiamo agli strumenti del futuro dove guardare»