Corriere della Sera, 24 giugno 2019
Franca Leosini e i gialli
«La sottile ironia, lo stile deciso, lo sguardo disincantato nel raccontare casi di cronaca spesso perturbanti»: con queste motivazioni Franca Leosini ha ricevuto il Premio Speciale Hemingway 2019. Il 30 giugno e il 2 luglio invece porta su Rai3 in prima serata uno speciale sul caso di Marco Vannini per cui Antonio Ciontoli – per la prima volta in tv – è stato condannato (in Appello) a 5 anni di carcere.
Franca Leosini è una popstar televisiva con tanto di fan (i leosiners), ma rifugge gli atteggiamenti da diva e lascia parlare il suo lavoro: rigorosa lettura delle carte processuali, domande chirurgiche che non eludono questioni scomode, cifra lessicale unica. Scrive lei i comunicati stampa del programma, non vuole repliche (che sarebbero per lei remunerative) «perché le persone in carcere cambiano e sarebbe una violenza».
«Il premio Hemingway mi inorgoglisce perché è un riconoscimento alla scrittura del programma: il lavoro giornalistico si distingue per l’uso delle parole e in tv abbiamo una responsabilità in più perché abbiamo un pubblico ampio e siamo dei modelli, anche per il linguaggio».
Il suo è un lessico alto, molto ricercato.
«Non è ricercato. È diverso: io le parole le possiedo e le metto al servizio del racconto».
Questione di talento o studio?
«Il talento è come l’erba: va coltivata e curata. Ho delle doti naturali che coltivo con la lettura: sono una lettrice onnivora, tranne che di gialli».
Con «Storie maledette» racconta i casi di cronaca nera da 25 anni. Lei è affascinata dalla mente umana...
«Mi piace indagare il percorso psicologico, umano, ambientale che porta una persona a commettere un gesto da cui fino a quel momento era lontana. Persone di normale quotidianità che poi cadono nel vuoto e nell’orrore di un gesto che non gli somiglia».
Provincia
«Si può raccontare l’Italia attraverso i
reati più gravi compiuti
nella provincia»
Spesso sono storie di provincia.
«La grande storia del nostro Paese è nella provincia, non nelle città: si potrebbe fare una lettura del nostro Paese attraverso i delitti».
Quando ripercorre un delitto lei sembra fredda con chi l’ha commesso, non risparmia domande urticanti, è diretta. Come fa?
«Sono come un chirurgo che deve fare un’operazione. Rispetto le persone che ho di fronte perché scendono con me nell’inferno del loro passato, negli abissi dei loro ricordi, ma non risparmio loro nulla. Cerco di capire cosa ha cambiato la traiettoria della loro vita, ma le storie che racconto le vivo e mi attraversano: dopo la puntata con Mary Patrizio che aveva ucciso il figlioletto di 5 mesi affogandolo nella vasca da bagno ho pianto per un quarto d’ora»
Le regole del suo lavoro?
«Tre. Inderogabili. Non anticipo mai le domande. Devo incontrare una volta i condannati per studiarne la prossemica e il passato, ma non prendo appunti davanti a loro. Valuto il tasso di sincerità, non strumentalizzo nessuno ma non mi faccio strumentalizzare: se ho la sensazione che succeda, lascio perdere».
Cos’è la cosa più cattiva che ha fatto in vita sua?
«Sono una donna solare e positiva, dolce ma anche tosta. In sintesi sono una persona buona, al massimo ho lasciato un innamorato».