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 2019  giugno 23 Domenica calendario

Il fallimento sull’Ilva

L a storia dell’immunità penale per i manager dell’Ilva di Taranto, introdotta dal governo Renzi e adesso eliminata dal governo Conte, è l’ennesima prova della bancarotta culturale di tutta la classe dirigente. La politica derapa sulle polveri dell’acciaieria dai tempi del governo Monti, ma Confindustria, sindacati, alti burocrati e grandi giuristi da sette anni si mettono in posa per un’i nquietante foto di gruppo in cui ciascuno mette il broncetto per sembrare vittima offesa, mentre la vicenda dimostra la vigliaccheria e l’inadeguatezza di tutti. Se usciamo dai pizzini in codice e dalle tirate demagogiche vediamo la semplice e drammatica realtà. A Taranto c’è la più grande acciaieria d’Europa che da sempre inquina. Da 40 (quaranta) anni i magistrati che si sono succeduti tra Mar Grande e Mar Piccolo fanno il loro dovere aprendo fascicoli penali per il reato di inquinamento. Nel 2012 hanno messo sotto sequestro gli impianti. I più gentili li hanno chiamati talebani, ma i giudici non potevano fare altro: da decenni il reato veniva reiterato a dispetto di più condanne specifiche definitive. Per sette anni i governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte ci hanno girato intorno. Perché l’Ilva smetta di inquinare servono anni di ristrutturazione degli impianti, durante i quali fermare l’acciaieria significa ucciderla. Ci sono due possibilità: chiudere l’Ilva; oppure consentirle di inquinare ancora mentre si completa la cosiddetta ambientalizzazione. Si è scelta la seconda strada, consapevoli che produrre acciaio spargendo veleni su Taranto continua a essere un reato. Legge alla mano, il dovere dei manager sarebbe di fermare la produzione che inquina. IL GOVERNO RENZI ha così inventato nel 2015 l’immunità penale. Alcuni dirigenti de ll’Ilva l’hanno opposta al Tribunale di Taranto che ha in piedi tre procedimenti per inquinamento da diossina, Pm10 e benzene. Il gip Benedetto Ruberto ha rimesso il quesito alla Corte costituzionale: è legittimo che il governo autorizzi qualcuno a commettere reati stabilendo a priori che le sue condotte, qualora prese in esame, “co – stituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale”? A occhio e croce la Consulta dovrà rispondere che secondo l’articolo 3 della legge fondamentale “tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge”. I Padri costituenti hanno infatti pretermesso l’esimente siderurgica, che avrebbe dispiegato la sua grande utilità economica e sociale di lì a soli 70 anni. Perciò siamo daccapo. La mossa del subgoverno M5S di abolire l’immunità penale è l’ennesimo trucco propagandistico per rinviare il problema. Ancora peggio l’incre – dibile mozione di controbilanciamento con cui il subgoverno Lega si impegna a “veri – ficare la coerenza”della norma con le “pro – spettive di crescita aziendale e di mantenimento dell’attuale livello occupazionale”. Infatti il colosso ArcelorMittal manifesta costernazione: è con questo governo bicefalo che ha fatto gli accordi per salvare l’Ilva di Taranto con l’implicita autorizzazione a continuare a inquinare fino al 2023, quando l’ambientalizzazione dovrebbe essere completata. In tutto questo casino una cosa colpisce più di tutte. In sette anni non c’è stato professore di diritto, giudice costituzionale, consigliere di Stato, magistrato, capo di gabinetto, capo del legislativo, segretario generale di questo e quest’altro che abbia lavorato a una decente soluzione giuridica per un problema oggettivamente complesso. Evidentemente erano tutti impegnati, nel loro ripugnante mercato, a scambiare sentenze con carriere, tutt’al più a studiare nuove norme contro le intercettazioni. Twitter@giorgiomeletti