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 2019  giugno 23 Domenica calendario

Penelope che tradì Ulisse

La poesia ha cantato a lungo il destino di Odisseo dopo il ritorno a Itaca. Insaziato ricercatore di terre nuove, dopo che il destino l’aveva costretto a vent’anni di peregrinazioni. Dante lo pone sì tra i consiglieri fraudolenti, ma gli attribuisce una nobiltà spirituale non giustificata né dall’Il i ad e né dall’Eneide. Altra cosa è l’Odissea: ove scopriamo le pieghe psicologiche sottilissime d’un aspro e crudele orditore di frodi. Il capolavoro dedicato al destino finale di Ulisse è il più monumentale dei Poemi conviviali di Pascoli, e s’intitola L’ulti mo viaggio. Il re di Itaca giunge morto sulla spiaggia di Calypso, e viene pianto dalla maga che l’aveva irretito ed egli aveva abbandonata. Ella è immortale; pure commenta che il non esser nati è il bene supremo. MA CHE COSA avviene davvero nel ritorno di Ulisse a Itaca? Un ritorno di vendetta e di ripresa dello scettro usurpatogli di fatto dai Proci accampatisi nella reggia, consumanti il suo e insidianti la sposa Penelope: la quale, con intatta fedeltà, lo attende. Il racconto di Omero è minuzioso; ma persino egli sulla bellissima regina appare reticente. La sappiamo solo fedele e sdegnosa del c o rt e g g i am e nto; e il più possibile chiusa nel suo appartamento, donde governa la casa. Ricordo una cosa ovvia. Nel mondo antico, e vieppiù C’è un modo diverso per scoprire Leonardo, a 500 anni dalla sua morte: attraverso i suoi appunti, i suoi pensieri, i suoi aforismi. È dal qualche settimana in libreria, per Interlinea, una raccolta – curata da Gino Ruozzi – di brevi scritti del genio, accompagnati da alcuni suoi disegni celebri. Pubblichiamo alcuni tra gli scritti divertenti o significativi.» LEONARDO DA VINCI S iccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire. NON MI PARE che li omini grossi e di tristi costumi e di poco discorso meritino sì bello strumento, né tante varietà di macchinamenti, quanto li omini speculativi e di gran discorsi, ma solo un sacco dove si riceva il cibo e donde esso esca, ché invero altro che un trantrui opere, potranno essere biasimati. SÌ COME IL FERRO s’arrugini – sce sanza esercizio e l’acqua si putrefà o nel freddo s’addiacia, così lo ’ngenio sanza esercizio si guasta. Q UA N D O Fortuna vien, prend i l’a man salva, dinanti dico, perché direto è calva. TRISTO È quel discepolo che non avanza il suo maestro. COME È PIÙ difficile a ’ntende – re l’opere di natura che un libro d’un poeta. NESSUNA COSA è da temere quanto la sozza fama. Questa sozza fama è nata da vizi. EL SOLE non si move. INFRA ’L SOLE e noi è tenebre, e però l’aria pare azzurra. © RIPRODUZIONE RISERVATA l’amante si fa vile. Quando la cosa unita è conveniente al suo unitore, li seguita dilettazione e piacere e sadisfazione. Quando l’amante è giunto all’amato, lì si riposa. Quando il peso è posato, lì si riposa. La cosa cognusciuta col nostro intelletto. LI OMINI e le parole son fatti. E tu, pittore, non sapiendo operare le tue figure, tu se’ come l’oratore che non sa adoperare le parole sue. SE BENE come loro non sapessi allegare gli altori, molto maggiore e più degna cosa allegherò allegando la sperienzia, maestra ai loro maestri. Costoro vanno sconfiati e pomposi, vestiti e ornati non delle loro ma delle altrui fatiche; e le mie a me medesimo non concedano. E se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle alcome esso corpo usa la sua cotidiana abitazione, cioè se quella è sanza ordine e confusa, disordinato e confuso fia il corpo tenuto dalla su’ anima. S U G G E T TO colla forma. Muovesi l’amante per la cos’amata come il senso alla sensibile, e con seco s’unisce e fassi una cosa medesima. L’opera è la prima cosa che nasce dall’unione. Se la cosa amata è vile, sito di cibo non son da essere giudicati, perché niente mi pare che essi participino di spezie umana altro che la voce e la figura, e tutto il resto è assai manco che bestia. L’UOMO HA grande discorso, del quale la più parte è vano e falso. Li animali l’hanno piccolo, ma è utile e vero, e meglio è la piccola certezza che la gran bugia. L’OMO HA desiderio d’inten – dere se la femmina è cedibile alla dimandata lussuria, e intendendo di sì e come ell’ha desiderio dell’omo, elli la richiede e mette in opera il suo desiderio, e intender nol pò se non confessa, e confessando fotte. CHI TEME i pericoli non perisce per quegli. CHI VOLE VEDERE come l’ani – ma abita nel suo corpo, guardi capolavoro poetico della Ciani perché non confligge col fondo arcaico dell’animo loro. Antinoo non ha mai parlato con la Regina, e non l’ha vista in faccia che una volta, ché ella si ricopre di un velo. Quando siede in trono guarda davanti a sé. Pure il loro rapporto, fatto solo di sguardi è intensissimo: più che se l’eros fosse divenuto carnale. Il polytropos Ulisse si nasconde sotto veste di mendico. L’ULTIMA GARA è quella dell’arco del Re: solo chi riuscisse a tenderlo, cosa solo a lui concessa, potrebbe avere Penelope. Travestito, Ulisse assiste. Tutti falliscono. Penelope tende per ultimo l’ar – co al suo Antinoo. Egli lo posa, senza nemmeno tentare il certame. Sa che subito dopo la prima freccia sarà per lui. Il diabolico polytropos aveva già tutto intuito. “Pen elo pe non si era mossa. Ma il velo, per l’ultima volta, era caduto, e questa volta davanti a Lei non più Antinoo, ma Ulisse la fissava con i suoi profondi, impenetrabili occhi. Lo riconobbe? Non ne ebbe il tempo. L’ultima freccia la colse in pieno petto, la violenza del colpo la piegò all’indietro, la testa abbandonata, le braccia spalancate in un turbinio di veli: per un istante sembrò che stesse per spiccare il volo. Come una rondine”. Maria Grazia Ciani è l’emula di Pascoli. www.paoloisotta.it © RIPRODUZIONE RISERVATA traduzioni dei due poemi omerici. Qui scrive una storia fatta tutta di monologi, come in un romanzo del Settecento. Sono monologi interiori: perciò la voce dell’anima può espandersi ben più che se il personaggio parlasse in pubblico. Altera e distante, Penelope in segreto ha smesso di aspettare Ulisse. Vent’an – ni prima, lo ha visto pochissimo, essendo egli subito partito. Lo ha atteso per anni; poi addirittura spera che sia morto. L’uomo era già da giovane per lei impenetrabile e spaventoso. Nella folla dei Proci bevitori e approfittatori c’è anche il bellissimo e nobile Antinoo. I suoi monologi lo mostrano perdutamente innamorato della Regina. La particolare, fin perversa, nobiltà spirituale dei due è un in quello arcaico di Omero, la parola era rara. Non si chiacchierava; se non ai conviti, si discorreva, e solo fra uomini. Alle donne si addiceva il tacere. E anche per gli uomini, una parola aveva un peso quasi sacrale che noi oggi a stento comprendiamo. Ecco la premessa per leggere una piccola meraviglia letteraria che esce in questi giorni per la Marsilio (pp. 95, euro 11): La morte di Penelope, di Maria Grazia Ciani. L’Autrice è un’i ns i gn e grecista, alla quale dobbiamo delicate insieme e dotte