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 2019  giugno 22 Sabato calendario

Intervista a Giovanni Galeone


Sul pianale posteriore della macchina la guida del 2018 dedicata a Relais e Chateaux prende il sole. È vissuta, sfogliata, non è lì per caso.
Mister, lei se la gode. “Accanto c’è pure la pubblicità delle sigarette, anche se non posso più fumare”.
Giovanni Galeone è un uomo in grado di mantenere un equilibrio raro tra goliardia e cultura, autoironia e profondità; piacere e senso del dovere; una spiccata passione per le donne, e se racconta dell’ultimo concerto di Mina, quello leggendario alla Bussola di Viareggio, non parla della performance canora, “ma delle sue gambe strepitose”; e poi non è banale neanche sui libri, non finisce sul solito Soriano, “perché amo più i francesi”; un uomo che quando entra nel ristorante preferito di Pescara (“qui da Michele vengo da 33 anni”), discute brevemente su quale vino stappare, perché il padrone di casa non si avventura in troppe repliche: “Giovà, tanto ne sai più di me, sei come un sommelier”.
A 78 anni non intende più allenare, e non è una questione di età, “ma solo perché oramai non c’è alcun rapporto vero con i giocatori: oggi se ne rimproveri uno o non lo schieri tra i titolari, mica ti viene a parlare, a cercare delucidazioni. No. Manda il procuratore a rompere le palle”. Non teme l’aspetto nostalgico: “Il calcio di trent’anni fa era più bello”, e non si riferisce solo a schemi di gioco, o protagonisti, bensì a storie da raccontare, persone da crescere, altre con le quali poter condividere anche sigaretta e caffè alla fine del primo tempo. O sorridere e stupirsi come è accaduto raramente in Serie A, pochi casi, quasi tutti finiti nel mito, come il Genoa di Bagnoli, la Roma di Liedholm (“lui è il maestro”), il Parma di Sacchi (“sia ben chiaro: Arrigo è arrivato dopo”), o il suo Pescara, protagonista negli anni Ottanta di leggende e promozioni, calciatori scoperti e altri sottovalutati, oggi immortalato da Lucio Biancatelli nel libro Poveri ma belli: il Pescara di Galeone dalla polvere al sogno. In quel Pescara giocavano Massimiliano Allegri e Gian Piero Gasperini, e in carriera ha allenato Marco Giampaolo; in sostanza tre big della Serie A sono suoi figliocci o quantomeno allievi.
Viene trattato da mito.
È un po’ esagerato.
Ne è certo?
Ci sono anche altre squadre che non hanno ottenuto i successi e l’attenzione che meritavano, eppure hanno cambiato la storia del calcio.
Tipo?
Corrado Orrico ha applicato pressing e zona anni prima di Arrigo Sacchi e il Bari di Enrico Catuzzi (1982) era uno spettacolo, ma nessuno cita questo disgraziato che è pure morto.
E lei?
Ribadisco: non sono il solo e ho la fortuna di una vita divertente e vissuta nel calcio.
Da che età?
A 16 anni sono andato via di casa, e già giocavo nella Nazionale Juniores, una squadra formidabile, con dentro Enrico Albertosi, Mario Corso e Giovanni Trapattoni.
Ma i suoi erano contenti?
Non importa, sono andato e basta; poi quando mio padre veniva a Trieste per trovarmi, e giocavo già nell’Udinese, palesava sempre lo stesso cruccio: comprarmi una casa, o darmi dei soldi.
Rifiutava?
Non ne avevo bisogno e non mi sembrava giusto.
Guadagnava.
Anche mio padre stava bene: era ingegnere, dirigente all’Ilva e vivevamo a Napoli; progettava gli altiforni.
Sperava nel figlio ingegnere.
Mai nella vita, per fortuna aveva un altro maschio; comunque viaggiava molto, costruiva impianti: è in mezzo al disastro di Taranto, l’altiforno lo ha creato lui, il primo in Europa a colata continua.
Insomma, viene da una famiglia molto borghese.
Mio padre liberale, credeva in Giovanni Malagodi (segretario dal 1954 al 1972); mamma era nostalgicamente monarchica, cresciuta nei salotti partenopei, e a casa, quando avevo dieci o undici anni, si leggeva Il Borghese, o i libri di Julius Evola o Giovannino Guareschi.
Le interessavano?
La mia vita andava verso altri lidi, e nessuno mi ha inibito.
Cioè?
Preferivo stare in strada con chi aveva meno di me, e se potevo davo una mano.
Se n’è andato a 16 anni…
Sì, e quando le persone mi dicevano e dicono “come sei stato bravo”, da sempre sento un po’ di fastidio.
Perché?
Avevo il culo parato con il paracadute dei miei; quindi non ci vuole coraggio, sarei potuto tornare a casa sempre e accolto con amore.

Quindi, a Trieste.
Non vivevo in un quartiere centrale, ma a Servola, dove spesso arrivavano i profughi slavi, in particolare dall’Istria, e le scritte erano ancora bilingue.
Come si trovava?
Una meraviglia, grandi giocatori, bravi in ogni sport, gente con cultura e tradizione, allora motivate dalla fame patita; mentre quelli di città non li cagavamo.
La politica l’interessava?
Più il sociale, mi ha sempre affascinato la realtà delle persone, le loro storie; quando vivevo a Trieste, arrivavano camion pieni di carbon coke da scaricare all’Ilva, e subito si ammassavano le donne per caricarne sacchi, e accendere il fuoco.
Ciò la colpiva.
Sì, perché a casa avevo la luce elettrica e la possibilità di spendere; se non sei un cretino devi avvertire l’evidente disuguaglianza.
Si sentiva in colpa?
No, venivo da una famiglia splendida, papà mi ha rifilato solo uno schiaffo.
Per?
Forse un brutto voto a scuola, ma non ricordo bene; ma dopo il ceffone mi sono chiuso in bagno e ho spaccato lo specchio con un pugno: ero furioso con me stesso.
Quando ha scoperto i libri?
Da ragazzo leggevo molto, ne sentivo il bisogno, amavo i gialli e i francesi.

Dicono che portava Prévert in panchina…
Leggenda sbagliata lanciata da non so chi: Prévert è noioso, il mio calcio allegro.
Ha mai manifestato?
Un paio di volte, e ho preso delle randellate.
Per cosa?
Contro un comizio di Giorgio Almirante a Udine; per sfuggire mi sono rifugiato in un portone; in un’altra situazione mi hanno caricato su una camionetta della polizia.
Il suo rapporto con i calciatori.
Gli lasciavo tutta la libertà.
Potevano uscire la sera?
Non erano affari miei.
Se andavano a donne?
Non me ne fotteva niente. E lo dicevo pure a Luciano Gaucci: “Guarda, non sono un guardiano di mucche”.
Sesso prima della partita.
Non sono mai stato in grado di organizzare il mio, figuriamoci quello degli altri.
Donne cacciate dal ritiro?
Mai, anche perché non ci andavo. Mangiavo fuori.
Un divieto?
Mi infastidivano i telefonini, era il periodo delle scommesse, temevo ci cascassero.
L’allenatore è un guru.
Forse qualcuno, io no; non credo neanche Allegri, e poi oggi i giocatori fanno quello che vogliono, hanno un potere contrattuale esagerato, non rispettano più i ruoli, e magari come con Icardi pretendono di parlare con il presidente.
“Giampaolo è un secchione”, ha dichiarato.
È un ragazzo molto attento, e a voler essere critici, non è un talento puro per il ruolo di allenatore, però è uno che si informa, studia, cresce e legge abbastanza bene le partite.
Allegri?
Max è uno raro.
Ha un debole per lui…
(Ride) Non è così: con Gasperini mi sono scontrato più di una volta, eppure lo considero un genio, e quando mi dicono “Gasperini ha imparato da lei”, rispondo che sono io ad aver appreso da lui.
Addirittura.
Non sbagliava un movimento, giocava sempre a culo in avanti; poi s’incazza, carattere terribile, ma bravissimo.
Allenatore già in campo.
È fondamentale, solo chi gioca può capire veramente la partita, e anche in questo Allegri era il numero uno.
Collovati sostiene che il calcio è solo per uomini.
Stupidaggine, ed è una tesi di Bettega, solo che a lui nessuno ha mai osato replicare.
Non sia mai.
Era Juventus-Milan, palla al centro, pronti via, riceve Rivera, arriva Tardelli e gli rifila un’entrata terribile; a fine match domandano a Bettega un giudizio, e lui: “Il calcio non è da signorine”. Oggi sarebbe stato massacrato.
Il Mondiale femminile lo guarda?
No perché non lo conosco, non riuscirei a valutarlo.
Le dichiarazioni dei calciatori sono spesso banali…
Da vent’anni è così, da Sacchi in poi.
Stuzzica sempre Sacchi.
Non è vero, nel 1988 sono stato l’unico allenatore invitato alla sua festa scudetto.
Vi conoscete da una vita.
Insieme già al corso di allenatori; ogni tanto mi lancia qualche pugnalata, io rispondo (prende il cellulare e divertito mostra le loro discussioni).
Che vi scrivete?
Nell’ultimo esordisce con “Caro Giovanni, ti ho sempre stimato e sempre considerato un amico…”. Ho risposto: “Arrigo l’ho sempre saputo e nel peggiore dei casi sperato”.
Si diverte.
Lui si incazza, però sono stato con Arrigo nelle due finali di Coppa Campioni vinte nel 1989 e 1990 e pure sugli spalti agli Europei del 1988; anzi nel 1990 dopo la partita e post cena, siamo rimasti fino alle 6 del mattino con Berlusconi a parlare di moduli: “Arrigo, lei mi consente”.
Ne capiva?
Ogni tanto le sue formazioni erano di 12 elementi.
Insomma, agli Europei?
Andiamo da Valentini (storico dirigente Figc) e gli chiediamo due biglietti per assistere a Olanda-Inghilterra. Li trova. “Tranquilli, posti ottimi”. Macché! Entriamo allo stadio e finiamo in mezzo agli hooligan inglesi, Arrigo preoccupato: “E ora?”. Lo guardo e lo rassicuro: “Stai tranquillo, togli la maglietta e fingi”.
A torso nudo?
Tutto il tempo, e mi rompeva su un giocatore. Fissato.
Chi?
Impazziva per l’attaccante inglese Gary Lineker, lo voleva, e io: “Hai Van Basten, cosa te ne fai di questo?”.
Un suo ex attaccante, Mario Jardel, ha dichiarato la sua vecchia tossicodipendenza.
Povero. Però aveva una bella moglie.
Oltre la moglie?
Con lui in campo, spesso era come giocare in dieci.
È capitato spesso di calciatori con problemi?
Ogni tanto, uno pure bravo: arrivava la mattina al campo completamente fiacco, annebbiato. Sicuro si faceva.
Cosa non tollera?
L’ipocrisia e la menzogna.
Sarri è stato disonesto nell’accettare la Juventus?
Fa un po’ di casino, non è preparato per certe situazioni; quando l’anno scorso leggevo alcune dichiarazioni, riflettevo se fossero opportune.
Come?
Anche questa voglia di apparire di sinistra, troppo; Giampaolo non ne parla mai, eppure era bertinottiano, uno di Rifondazione, infatti ora Berlusconi gli vuole parlare (e scoppia a ridere).
Cosa si diranno?
Marco non resta zitto, non è uno che si fa scivolare le cose addosso come Max…
Pure Allegri ha carattere.
E della Juve ci è rimasto male, si è sentito tradito, dispiaciuto in particolare per Andrea Agnelli. Non ha superato l’addio; e sono anni che gli consiglio di andare via. Comunque con Ambra è contento.
Bene.
Sa stare con uno come lui, quando viene circondato dai fan non si scoccia, resta in disparte e osserva col sorriso.
La Juve non la sopporta.
Dal 1958.
Un sentimento recente…
Giocavo a Coverciano contro la Nazionale A, noi ragazzi rispettosi dei grandi, emozionati evitavamo ogni contatto, eppure Giampiero Boniperti alzava continuamente il braccio e chiamava “fallo”.
Ahi.
Prepotenza da padroni.
Lei alla Juventus?
Non mi avrebbero mai chiamato, mentre mi sarebbe piaciuto andare alla Roma di Dino Viola o al Napoli di Maradona, invece ho perso sia l’una che l’altra; il Napoli per colpa di Moggi e Ferlaino.
Ha avuto presidenti particolari, come Gaucci.
Mai visto uno così generoso, impressionante, elargiva soldi a tutti, in particolare ai giocatori. E non mi ha mai chiesto una formazione.
Lei e le donne.
Sono solo favole.
Sicuro?
Come per Max, solo favole. Anzi, lui non sa neanche cosa sono le discoteche, ed è un’impresa dargli il secondo bicchiere di vino.

Cosa sognava da ragazzo.
Ancora oggi sogno di giocare a calcio; mai da allenatore.
Il suo mito?
Luisito Suarez.
Un amico?
Gianni Mura. Usciamo e beviamo le nostre bottiglie di vino, poi scattano le gare mnemoniche, anche con altri; uno fortissimo era Giorgio Faletti, sapeva tutto. Ah, secondo Gianni non capisco nulla di portieri e Amarone.
Ha ragione?
Sì. Mi piaceva solo Angelo Peruzzi. La prima volta che l’ho visto in allenamento era un ragazzino, con quattro o cinque “senatori” della Roma che gli tiravano delle bordate (pallonate). Lui niente. Li sfidava. Gli andava sotto e con modi spavaldi li invitava a continuare.
Tra Messi e Ronaldo?
Messi tutta la vita.
In Italia?
Ho amato Totti, ma chi mi ha impressionato è Cassano: eccezionale, in allenamento spiazzava tutti, uno spreco, e poi è ruffiano, quando incontra qualcuno sono baci e abbracci.
Tabù: i gay nel calcio.
Ci sono, oggi più di ieri.
Altro tabù: il doping.
Quando giocavo ci rifilavano di tutto, ed era normale.
Un rimpianto?
Io? (Sorride con occhi e labbra, e i suoi occhi e le sua labbra hanno l’età dei sogni, quando giocava a pallone). Mi sono divertito…