il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2019
Mercoledì il voto in Parlamento per l’Autorità sui dati personali: decide tutto la politica
Una poltrona ciascuno: prima il metodo, poi il merito. Questa settimana in Parlamento va in scena la replica, l’ennesima, di una spartizione scientifica e sfrontata del potere con la nomina dei quattro membri – incluso il capo, il cosiddetto garante – dell’Autorità della Privacy. Ai tempi del governo gialloverde, il metodo è mutuato dal passato: i Cinque Stelle reclamano il Garante della Privacy, la Lega di Salvini prenota il vertice dell’Autorità per le Comunicazioni, in sigla Agcom. Un lascito che il ministro dell’Interno può condividere con gli alleati locali e saltuari di Forza Italia per rabbonire Silvio Berlusconi con la consueta tutela degli interessi di famiglia, cioè di Mediaset.
I commissari Agcom scadono l’11 di luglio, la Privacy è in agenda mercoledì con una doppia votazione convocata per le 9:30 al Senato e per le 16 in punto alla Camera: senatori e deputati eleggono a maggioranza due membri a testa e il collegio, appena insediato e al solito istruito dai partiti, indica il capo.
Il Parlamento ha raccolto oltre 200 candidature, tra docenti universitari, politici, avvocati, esperti a vario titolo e lì, in qualche luogo ben arieggiato, languono in attesa che si ripeta la funzione più o meno laica che rinnova le tradizioni d’aula: un messaggio dei capigruppo – già indottrinati – sui telefoni dei senatori la mattina e dei deputati il pomeriggio per svelare il nome di chi va votato. Nessuno ha proposto una selezione dei candidati, nessuno ha avvertito l’esigenza di audizioni o dibattiti, nessuno ha suggerito la formazione di una commissione tecnica per scremare la lunga lista, neanche ispirati dal governo che così ha svolto una prima valutazione oggettiva dei giudici del tribunale dell’Unione europea. Nessuno, perché? Che banalità: per lasciare assoluta discrezione e autonomia ai politici, onniscienti su temi di Privacy e di Agcom.
I Cinque Stelle hanno adocchiato presto la Privacy, e pure qui la motivazione è semplice, anzi pubblica. L’Autorità di Antonello Soro, il garante uscente, di professione dermatologo, deputato per cinque legislature coronate con un biennio da capogruppo del Pd, più volte ha contestato la gestione dei dati personali degli iscritti all’associazione Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio che controlla il Movimento.
Un paio di mesi fa, l’Autorità ha sanzionato Rousseau con una multa di 50.000 euro e Casaleggio, il figlio di Gianroberto, riservato e prudente, ha parlato di “chiaro atto politico”: “Alla Privacy non ci può stare un ex capogruppo del Pd e più in generale non ci può stare un politico, deve starci un professionista”. E il ministro Luigi Di Maio, in forma più prosaica, con poco garbo per il Parlamento, ha promesso serafico: “Ci adopereremo per individuare una figura al di sopra di qualsiasi sospetto”. Il momento per “adoperarsi” è adesso. Al ministro e a Casaleggio spetta il compito di pescare il prescelto tra i candidati. Questo giro di poltrone misura anche l’influenza di Giuseppe Conte nei Cinque Stelle.
Il premier ha un suo profilo per la Privacy: Giuseppe Busia, segretario generale dell’Autorità; mancato segretario generale a Palazzo Chigi (ci andò per un informale passaggio di consegne, e poi il nulla); già consigliere giuridico per un trimestre nel gabinetto del presidente del Consiglio; al pari del premier ha frequentato il centro universitario di Villa Nazareth, altare del cattolicesimo democratico; consolidati rapporti con l’avvocato Guido Alpa, mentore di Conte.
Busia è più di una suggestione, il professore Vincenzo Zeno Zencovich all’Agcom è il desiderio neanche troppo nascosto del centrodestra e del partito Mediaset. Zeno Zencovich, però, corre anche per la Privacy.
Il manuale più aggiornato del Parlamento prevede: per la Privacy, due posti ai Cinque Stelle tra cui il Garante, uno per la Lega, uno per le opposizioni; per l’Agcom, il presidente al Carroccio o al centrodestra, un commissario sempre ai leghisti, uno ai Cinque Stelle, due per le opposizioni (probabile uno ai dem). Postilla: le chiamano Autorità indipendenti.
(26 giugno)