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 2019  giugno 22 Sabato calendario

Gli arabi faranno sparire l’olio italiano?

Da anni l’Italia dell’olio extravergine d’oliva è ostaggio di decisioni e strategie assunte lontano da Roma e perfino da Bruxelles. Ma se finora contavamo come il due di coppe a briscola, il futuro potrebbe riservarci sorprese ancora più amare. Come Libero aveva paventato alcuni mesi or sono, il tunisino Abdellatif Ghedira è stato confermato direttore esecutivo del Consiglio oleicolo internazionale, Coi in sigla, sede a Madrid, praticamente l’Onu dell’olio d’oliva. Ma con pieni poteri di stabilire le regole del settore, a cominciare da quelle – delicatissime – che regolano l’intero sistema dei controlli. L’ufficializzazione della nomina, con la conferma del tunisino per i prossimi 5 anni, è arrivata al Consiglio generale del Coi che si è tenuto venerdì a Marrakech, in Marocco. Ed è particolarmente grave per tre motivi. Il primo: l’investitura è stata possibile grazie all’astensione, decisiva, del rappresentante dell’Unione europea che conta più di un voto, visto che rappresenta Spagna, Italia, Portogallo, Francia e Grecia. Se il plenipotenziario di Bruxelles avesse votato contro la nomina sarebbe saltata. Secondo motivo: la carica di direttore esecutivo sarebbe spettata proprio all’Italia, in base al meccanismo della rotazione delle cariche fin qui rispettato alla lettera. Terzo: i Paesi arabi con la complicità della Spagna hanno evitato che con il direttore italiano arrivasse al Coi una ventata di trasparenza. OCCUPAZIONE TOTALE Per assicurare la presa di possesso totale, a fianco di Ghedira sono stati confermati i due direttori aggiunti: lo spagnolo Jaime Lillo e il turco Mustafa Sepetçi. Fra i nostri operatori del settore lo sconforto è massimo: è come aver consegnato le chiavi dell’oliveto-Italia alla Conferenza Islamica. Con la benedizione colpevole di Spagna e Unione europea. Cosa accadrà ora è abbastanza facile da immaginare. «Da una posizione di forza il riconfermato segretariato esecutivo del Consiglio oleicolo internazionale», scrive Alberto Grimelli su Teatro Naturale, la bibbia del settore oleicolo, «riproporrà l’allargamento delle maglie del panel test, per depontenziarlo, e lo sdoganamento degli oli dolci. Un programma in netta antitesi con la progettualità italiana che invece da tempo ha puntato tutto sulla qualità». Da anni, infatti, in seno all’Onu dell’extravergine, Spagna e Paesi arabi stanno cercando di depotenziare i controlli affidati ai «panel test», composti da assaggiatori professionali di olio, in grado di giudicarne la qualità, riconoscendone gli eventuali difetti e pure segnalare la presenza di materia prima straniera. COLPO DI MANO L’ultimo tentativo per «neutralizzare» gli assaggiatori risale all’inizio dell’ultima primavera ed è stato sventato dalla ribellione dei nostri produttori. Con la riconferma del triunvirato ispano-arabo la strada è spianata. Sarà soltanto una questione di tempo ma il finale di partita è già scritto. Da tempo Madrid spinge per allentare i controlli visto che la maggior parte delle 1.600 tonnellate di olio extravergine d’oliva prodotte in Spagna sono di qualità scadente. L’oro verde italiano, che si distingue per caratteristiche chimiche ed organolettiche uniche, capace di farne un prodotto eccelso, dà fastidio. Resta il benchmark, il termine di paragone cui rapportare tutti gli altri prodotti. Un po’ come accade con il Bund tedesco fra i titoli del debito sovrano. Basta alzare la soglia dei difetti e il «meglio» si sparpaglia per tutto il bacino del Mediterraneo. Senza contare che con i panel test depotenziati sarà molto più semplice importare la materia prima scadente da Spagna, Tunisia, Marocco, Egitto e Turchia, miscelarla al nostro extravergine e spacciare il risultato per olio made in Italy. Una eventualità che rischia di far precipitare ulteriormente le quotazioni all’origine dell’olio tricolore. Mettendo definitivamente fuori mercato i nostri produttori. E spalancherebbe le porte ai misturoni senza patria e senza bandiera che hanno fatto della Spagna il primo produttore mondiale di olio d’oliva. I modelli di riferimento, per la produzione, rischiano di diventare gli uliveti super intensivi, centinaia di migliaia di ulivi a perdita d’occhio, coltivati meccanicamente, capaci di dare un prodotto a basso costo ma anche di bassa se non bassissima qualità.