Corriere della Sera, 22 giugno 2019
L’ultima avventura del commissario Ricciardi
Sembra un Ricciardi come gli altri, quello che esce una domenica mattina dal portone di casa per andare in questura. Il solito commissario triste e solitario come l’abbiamo conosciuto nei precedenti undici episodi della serie. Invece, basta poco per capire che stavolta è un poliziotto diverso quello che si muove dentro Il pianto dell’alba, nuovo romanzo della fortunata serie investigativa di Maurizio de Giovanni ambientata nella Napoli degli anni Trenta del Novecento, che esce martedì per Einaudi Stile libero.
Quattro passi e Ricciardi alza lo sguardo; altri cinque passi e di nuovo gli occhi rivolti in alto; pare una danza, è un rituale d’amore. Destinataria di quelle occhiate è Enrica. Ecco il cambiamento: è un Ricciardi felice, un trentaquattrenne con pensieri che sembrano quelli di chi ha la metà dei suoi anni: «Quindi è questa la felicità, pensò. Avere il cuore immerso in un liquido caldo e dolcissimo».
Nell’ultimo anno, dalla precedente indagine, molte cose sono cambiate per Ricciardi: non solo si è deciso a chiedere in sposa Enrica ma le ha aperto il suo cuore ammettendola al segreto più profondo – il fatto (dono e condanna) di poter raccogliere le ultime parole di chi sta per morire di morte violenta – e in cambio ne ha ricevuto conforto e comprensione.
Sembra il solito Ricciardi ma non lo è. Nelide, la domestica tuttofare del commissario, ha trovato una sintesi efficace per descriverne lo stato di euforia: «Si è completamente scimunito per amore». Oltre al matrimonio, Ricciardi ha un ulteriore motivo per gioire: sta per diventare padre. Il sesso del nascituro si scoprirà solo alla fine, ma nel libro non mancano discussioni e ragionamenti al riguardo: se sarà maschio o femmina («Panza chiatta vole la zappa; panza appizzuta vole lo fuso» sentenzia Nelide sulla scorta di un proverbio cilentano); se avrà gli occhi di mamma o di papà, «quelli neri, profondi e sereni di Enrica» o i «vitrei occhi verdi colmi di dolore» di Ricciardi (con annesso, forse, il dono/condanna di ciò che quegli occhi possono vedere).
A rendere diverso questo Ricciardi che spavaldamente felice esce dal portone di casa è poi il sottotitolo dell’indagine: «Ultima ombra per il commissario», che ha in sé la consapevolezza che qualcosa sta per finire.
De Giovanni, che già aveva in passato annunciato l’intenzione di voler con questo episodio chiudere un ciclo, conferma al «Corriere»: «Avevo deciso da tempo che con il 1934 finiva l’arco narrativo di Ricciardi». Un periodo che ha coperto tre anni nella vita del commissario e quattordici in quella dell’autore. «Il 1934 è un anno cruciale, quello in cui la situazione comincia davvero a peggiorare. Avviene la “notte dei lunghi coltelli” in Germania, che in qualche modo ha a che fare con la storia che racconto». È un episodio sanguinoso avvenuto tra la notte del 30 giugno e quella del 1° luglio, una sorta di regolamento di conti all’interno del partito di Hitler che avrà ripercussioni anche sui rapporti tra Italia e Germania.
«Non dimenticarti di noi» ripete più volte nel romanzo Enrica rivolta a Ricciardi. E forse, pirandellianamente, dicono i personaggi al loro creatore
Il solo pensiero di una fine di Ricciardi ha messo in agitazione i fan della popolare serie. «Racconto storie e non guardo alle logiche commerciali o ad altro – aggiunge de Giovanni —, l’unico dovere che sento è verso i personaggi». Ma sarà davvero la fine di Ricciardi? No. È piuttosto un congedo, un pensionamento. Un congelamento del personaggio.
«Un arco narrativo è finito – ribadisce de Giovanni —. Ma non posso escludere che tra un po’ mi venga voglia di raccontare cosa sarà di Ricciardi dopo, magari negli anni Sessanta». E chiarisce che questa per ora «è solo un’ipotesi narrativa. A quel punto Ricciardi avrebbe sessant’anni e chi nasce in questo romanzo ne avrebbe ventisei; potrebbe essere interessante e divertente raccontare quel periodo».
Il pianto dell’alba narra, dice de Giovanni, «una storia complessa in cui tutto si tiene e in cui tutto ciò che si apre, come in un cerchio, si chiude». Si intrecciano storie su piani diversi, personale e professionale; ci sono agenti fedeli, loschi figuri e infide spie; tornano i personaggi noti – dal femminiello Bambinella al fruttivendolo Tanino o’ Sarracino – ed è come se in questo clima da fine di un ciclo ognuno voglia dare il meglio di sé e il contributo più utile alla soluzione del caso. Con de Giovanni, maestro concertatore, che gestisce alla grande (come sempre) la materia narrativa.
Luigi Alfredo Ricciardi quella domenica mattina non arriverà in questura perché incontrerà prima una giovane donna in lacrime, è la cameriera di Livia che gli chiede di seguirlo. Livia è la vedova allegra da sempre innamorata di Ricciardi e che ora fa coppia con un soldato tedesco, il maggiore Von Brauchitsch, lo stesso che in precedenza si era invaghito di Enrica.
La sera prima i due erano insieme a una festa, la mattina dopo sono a letto, lui morto, lei priva di sensi ma con la pistola ancora in mano. Il sopralluogo di Ricciardi viene interrotto dall’arrivo della polizia politica che in maniera frettolosa si appropria del caso. Da lì l’indagine – nell’ombra – di Ricciardi, accompagnata da certezze e timori. Le prime, di avere a che fare con persone senza scrupoli, servi del potere quale che sia. I secondi, affidati a Enrica e al suo accorato «Non dimenticarti di noi» ripetuto più e più volte nel romanzo. Rivolto a Ricciardi, certo. Ma forse, inconsciamente e pirandellianamente, anche allo stesso de Giovanni perché questi personaggi torni, prima o poi, a raccontarli.
(21 giugno al Maschio Angioino)