Robinson, 22 giugno 2019
Intervista a Michael Douglas
Il cambiamento dei rapporti tra tv e cinema è anche una questione di divi. Ne sa qualcosa Michael Douglas, premiato con la Nymphe de Cristal alla carriera durante la 59° edizione, conclusasi il 18 giugno, del Festival della Tv di Montecarlo. Divertente e loquace, ha parlato a lungo di questo momento di passaggio: «Ho lavorato ne Le strade di San Francisco. La tv è stata la spina dorsale per la mia carriera. Lasciai lo show dopo quattro anni e produssi Qualcuno volò sul nido del cuculo. Pensavano fossi pazzo a fare questa scelta, ma il resto è storia. Il passaggio al grande schermo allora era una cosa difficile, erano strade separate. Se eri un attore di tv infatti volevi diventare una star del cinema, anche perché sul piccolo schermo il pubblico ti vedeva gratis, al cinema doveva pagare per vederti. E poi molti anni dopo, nel 2013, ho interpretato il pianista Liberace in Dietro i candelabri, diretto da Steven Soderbergh. Un film che nessuno studio voleva fare, e che produsse Hbo. E questo mi aprì gli occhi. Infine Chuck Lorre, produttore, regista e sceneggiatore di grande successo, mi ha dato l’opportunità di tornare in televisione con Il metodo Kominsky. Ringrazio il festival per aver riconosciuto questo ciclo che mi riporta in tv».
Un ciclo perfetto. Sono passati esattamente 50 anni dal suo primo ruolo come attore proprio sul piccolo schermo nel 1969, in un episodio della serie Playhouse.
Nel 2018 eccolo su Netflix grazie appunto al genio delle comedy Lorre (è il creatore di The Big Bang Theory) nel ruolo di Kominsky, insegnante di recitazione un po’ sopra le righe alle prese con la sua vecchiaia e quella del suo migliore amico. Una serie diventata subito cult, premiata ai Golden Globe 2019 (miglior serie tv commedia, Douglas miglior protagonista di una serie commedia). E di cui è stata già annunciata una seconda stagione, attesissima, che dovrebbe essere pronta entro la fine di quest’anno.
Un successo che il divo Michael collega all’esplosione televisiva degli ultimi anni: «Una volta c’erano tre reti, adesso grazie alla tv via cavo e allo streaming ne abbiamo tantissime. La differenza è il passaggio da una tv basata sulla pubblicità a una fondata sull’idea di membership. Il pubblico non paga uno show, paga un abbonamento. Così c’è maggior varietà e libertà, e la qualità della scrittura si alza. È un passaggio importante per sceneggiatori, registi, produttori.
Oggi c’è anche più libertà per un attore di passare dalla tv al cinema e viceversa».
E in effetti il movimento di corpi e volti tra televisione e cinema è circolare, come mai prima d’ora. I prestiti ci sono sempre stati, ma adesso i passaggi sono fluidi e non penalizzanti. Come dice Douglas, la qualità della scrittura ha permesso un nuovo avvicinamento al piccolo schermo: non lo si evita, anzi lo si cerca. Certo, raramente ci si impegna per prodotti di lunga serialità, come dimostrano i casi delle miniserie con protagoniste Julia Roberts ( Homecoming) su Amazon o Nicole Kidman ( Big little lies) su Hbo.
Allo stesso tempo, gli attori di oggi che iniziano sul piccolo schermo non sono più considerati di serie b. Il loro potenziale attrattivo viene sfruttato anche al cinema, e non solo: Benedict Cumberbatch passa da Sherlock sulla Bbc al Doctor Strange, Kit Harington e Emilia Clarke, star del Trono di spade, diventano protagonisti di una campagna di Dolce e Gabbana.
Douglas ha ricordato con affetto Karl Malden, star della vecchia Hollywood che ha recitato in Fronte del porto e Un tram chiamato desiderio, un vero mentore durante gli anni de Le strade di San Francisco. Quanto al proprio caso, forse aver iniziato con il teatro e soprattutto con la tv gli ha permesso di ottenere un successo così duraturo, spiega: «Durante quegli anni recitavamo in 26 episodi di un’ora, giravamo per sei giorni. Ho imparato la disciplina, e anche molte regole di sceneggiatura. Questa è la base della mia carriera: come scegliere un ruolo, come essere un produttore. Questo è il “materiale” su cui si lavora, e se è buono, non mi importa la parte.
Sono sempre interessato alle opere nel loro complesso perché anch’io sono un produttore, e lo stesso dunque vale quando sono attore. Preferisco di gran lunga una piccola parte in un bel film piuttosto che un ruolo importante in un brutto film».
E anche in uno show televisivo.