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 2019  giugno 22 Sabato calendario

In un libro di Michael Pollan, l’elogio delle droghe psichedeliche


Era il 19 aprile del 1943, in Svizzera, quando un uomo fu visto sfrecciare forsennatamente in bicicletta. Era il dottor Hofmann, diretto come un fuso verso casa, nel pieno dell’effetto di uno storico esperimento: da pochi minuti aveva ingerito 0,25 mg di una molecola sintetizzata anni prima in laboratorio, fra gli alcaloidi prodotti da un fungo… Nacque così, con una pedalata titanica, il primo bad trip della storia, celebrato tuttora dagli adepti dell’LSD come il leggendario “giorno della bicicletta”. Tant’è: partito dal laboratorio con primi vaghi sintomi d’allucinazione, Hofmann giunse a casa sentendosi ormai un tutt’uno fra Coppi, Bartali, Mister Hyde e l’Ape Maia, dopodiché si gettò sul divano e salpò per un fantasmagorico viaggio al di là della stessa dimensione dell’umano, tanto da concepire il suo corpo dall’esterno, immobile e minuscolo, mentre tutto attorno la realtà si distorceva nelle più pittoresche forme. Bene, buon per lui.
Sono passati 76 anni, durante i quali Nostra Signora delle psichedeliche ha avuto un vertiginoso boom e un altrettanto drastico down. Fu inizialmente l’ambrosia del Parnaso hippie – com’è noto celebrata dagli Allen Ginsberg e Aldous Huxley – ma fu repentino il volgere da nettare delle sinistre alla ahimè sinistra fama di allucinogeno criminale, non per nulla consumato dalla setta di Charles Manson prima delle fatidiche stragi. A riaprire adesso il dibattito sui pro e contro è Come cambiare la tua mente di Michael Pollan, autore cult del giornalismo americano mainstream, cacciatore del più brado saggismo da bestseller, già assurto a chiara fama per essersi occupato – a più riprese – delle storture dietetico- alimentari dello zio Sam ( proibito sorprendersi: in fin dei conti il passo è brevissimo, si tratta solo di passare dalla frittata coi funghi alla molecola dei funghi stessi). La scintilla di cotanto interesse ci viene descritta con dovizie di dettagli in apertura del libro, ma già alle primissime note avrei potuto azzeccarne tutto il motivetto, col classico ritornello” salve a tutti, non avrei mai pensato di scrivere un saggio che di fatto sponsorizzi gli allucinogeni, ma poi un giorno casualmente li ho provati, ed è scoccato l’amore, etc. etc.”.
Seguono circa 400 pagine (scritte peraltro con passo agile, gradevole al palato, con sapide spolverate di ironia speziata) in cui Pollan si getta corpo e anima nell’autoconferita missione di ridar lustro e dignità ai tanto vituperati funghetti, messi alla gogna da mastini bigotti. E come in un’aula di tribunale, vengono chiamati a deporre luminari, medici, psichiatri e chi più ne ha più ne metta, tutti ovviamente concordi nel celebrare le recondite virtù nascoste degli imputati. Si va dal professor Griffiths che si improvvisa guru con domande del tipo” Lei è consapevole di essere consapevole?”, per raggiungere l’apice con il micologo Paul Stamets, impaziente di insegnarci che i famigerati funghi risolverebbero tutti i nostri guai, dall’inquinamento petrolchimico al bioterrorismo, dal cancro alle infestazioni di insetti (mancano le piaghe d’Egitto).
Dopodiché, in un appassionato crescendo perfino mistico, si finisce per teorizzare che l’umanità è schiava della razionalità estrema, per cui ben venga un recupero dell’esilio psichedelico, addirittura miracoloso nei casi di ansia, depressione e paura di morire. Questa l’arringa della difesa. Il parere dell’accusa? Non pervenuto. Ed è questo a mio vedere il punto: sbaglierò, ma da lettore mi irrigidisce sempre sentirmi messo innanzi a un ricatto bello e buono, per cui di fatto devi scegliere: o ti schieri con l’autore, oppure ti ascrivi alla schiera dei retrogradi destrorsi.
Mi perdoni allora il brillante Pollan, ma tenterei volentieri di sottrarmi al facile giochetto dell’” evviva” contro” abbasso”, riflettendo su ciò che a lui sembra più stare a cuore, cioè il potere ( a sua detta) salvifico del distacco dalla realtà. Perfino un profano come il sottoscritto è a conoscenza che negli ultimi anni la sperimentazione clinica ha segnalato i meriti – in piccole dosi – di sostanze messe all’indice. Ma il passo che Pollan compie (e vorrebbe far compiere a noi) è ben diverso, e chiaramente proclamato nell’altisonante titolo del libro: gli allucinogeni sarebbero degli alleati nella ricerca di noi stessi. Egli lo scrive senza mezzi termini: la destrutturazione dell’io ne implicherebbe poi la ricostruzione critica. Sarà.
Con tutto il rispetto, io credo che il vero problema, oggi, sia esattamente l’eccesso di fuga dal reale: fra nickname, avatar, virtual games, realtà aumentate e alternative d’ogni sorta, non abbiamo che da scegliere il miglior modo per sottrarci, per evadere. In questo senso, il trip psichedelico è un’inezia, buono giusto per il corredo dannato di cantanti trap che si atteggiano a novelli Baudelaire: senza bisogno né di funghi né di LSD, l’umanità è già altrove, naviga in un mondo fake, crea identità fittizie, e nelle praterie del web si gode il brivido dell’irreperibilità. Semmai, questo sì, occorrerebbe un fungo magico che ci facesse di nuovo innamorare delle cose, dei cambiamenti delle cose, del loro concretissimo perimetro, senza dover per forza stravolgerlo a nostra misura. Per cui, non me ne voglia Pollan, ma alla sua domanda “Come cambiare la tua mente”, risponderei “con un sano bagno di realtà”. Altro che funghi.