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 2019  giugno 23 Domenica calendario

Il Vaticano perde a tavolino contro il Vienna. Le giocatrici della Santa Sede si sono riufiutate di scendere in campo per le proteste delle avversarie antiabortiste

 La formazione di calcio femminile vaticana era arrivata ieri pomeriggio a Vienna in pompa magna. In panchina, non a caso, sedeva anche il nunzio apostolico in Austria, monsignor Pedro López Quintana, fresco di nomina. La ricorrenza, del resto, lo meritava: la squadra della Santa Sede, fondata da poche settimane reclutando giocatrici fra le 750 dipendenti che lavorano entro le mura leonine, debuttava all’estero in occasione dei venticinque anni del team femminile viennese. Ma la partita non si è mai giocata. In sostanza, è stata sospesa prima ancora del fischio d’inizio, dopo che sono state le stesse giocatrici vaticane a chiedere che così avvenisse. Al momento dell’esecuzione dell’inno vaticano, infatti, la pomposa marcia alla francese composta da Charles Gounod, le ragazze austriache si sono in parte spogliate, mostrando sul proprio corpo disegni e tatuaggi favorevoli all’aborto e insieme contrari all’omofobia. Così è avvenuto anche sugli spalti, dove alcuni spettatori hanno fatto propria la protesta delle atlete esplicitamente diretta contro la dottrina cattolica sull’interruzione volontaria di gravidanza e certe prese di posizione della stessa Chiesa sulle persone omosessuali. A nulla è servita la richiesta da parte di altri spettatori di giocare. L’arbitro ha rimandato tutte direttamente negli spogliatoi senza fischiare il calcio d’inizio.
La protesta è arrivata poche ore dopo un incontro di papa Francesco, in Vaticano, con la Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche. A loro Bergoglio ha ribadito che «curare vuol dire rispettare il dono della vita dall’inizio fino alla fine». E ancora: «Non siamo noi i proprietari: la vita ci viene affidata, e i medici ne sono i servitori». In soldoni, è contro questa visione che le atlete austriache hanno protestato, alzando le proprie magliette e mostrando tatuaggi esplicitamente contrari al Vaticano e agli insegnamenti della Chiesa in materia di morale.
Non è la prima volta che atleti utilizzano manifestazioni pubbliche sportive per protestare. Tutti ricordano il pugno chiuso alzato verso il cielo di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico il 16 ottobre del 1968. I due velocisti americani presero posizione in favore dei diritti civili dei neri tre anni dopo la marcia di Selma e sei mesi prima l’assassinio di Martin Luther King. Certo, mai una protesta in campo sportivo era stata indirizzata contro la Chiesa cattolica.
In Austria, e in generale nel mondo mitteleuropeo, non sono pochi i credenti che ritengono le posizioni della dottrina cattolica troppo chiuse. Nel 2011 fu l’attuale arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schöborn, a denunciare la possibilità di uno scisma promosso da parte del clero locale che voleva abolire la regola del celibato ecclesiastico e ammettere alla comunione i divorziati risposati. Più recentemente, è stato il cardinale Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca e arcivescovo di Monaco e Frisinga, ad annunciare l’inizio fra i credenti del suo Paese di un cammino interno nel quale discutere di abuso di potere nella Chiesa, di morale sessuale e di celibato, il tutto senza «aspettare Roma». «Non si tratta tanto – ha detto Marx – di inchinarsi allo spirito dei tempi, quando scoprire se per caso un cambiamento non corrisponda meglio al Vangelo».