La Lettura, 23 giugno 2019
Via i greci dalla Corsica
Durante i primi tre quarti del VI secolo avanti Cristo, negli anni che intercorrono tra la comparsa dei Focei (Greci provenienti dall’Asia Minore) nel Mediterraneo di nord-ovest con la fondazione di Massalia-Marsiglia e la prima, vera, grande battaglia navale dell’antichità, quella di Alalìa (attualmente Aleria, in Corsica), lo strategico specchio d’acqua occidentale fu dominato di fatto da due presenze egemoni, quella etrusca e quella cartaginese.
Se per gli Etruschi (a cui, come sottolineava l’archeologo Massimo Pallottino, si deve il nome Tirreno…) è forse eccessivo parlare di una vera potenza navale, è certo però che alcune loro città – Vetulonia, Vulci, Tarquinia e soprattutto Caere, che Erodoto chiama con l’antico nome di Agylla – pur arretrate a qualche chilometro dalla costa, ospitavano all’interno di porti come quelli di Graviscae per Tarquinia o di Punicum e Pyrgi per Caere, flotte importanti, capaci di schierare decine di navi da guerra. Gli Etruschi resero così a lungo insicure le acque del Mediterraneo, fino all’Egeo, guadagnandosi la sinistra fama di pirati bollati dal mondo ellenico per la loro crudeltà.
Insicure per tutti, ma – pare – non per i Cartaginesi. Del Tirreno Etruschi e Punici furono a lungo signori in condominio: la compenetrazione dei loro rapporti, attestata nella Politica di Aristotele, trova conferme archeologiche talvolta sensazionali, come quella offerta dalle tre celeberrime laminette auree provenienti da Pyrgi, il cui testo principale, in etrusco e in fenicio, ricorda l’ospitalità riservata dal re di Caere, Thefarie Velianas, al culto comune della divinità femminile Uni-Astarte nel porto della sua città. L’intensità di questi vincoli è poi ulteriormente confermata da una ricchissima serie di reperti, che rivelano intese di commercio e d’amicizia tra i due popoli, mostrando iniziative e tragitti comuni da e per la Sardegna e la Corsica. I loro traffici, per quello che sappiamo, dovevano seguire due rotte soprattutto: a nord, dalla costa orientale della Corsica stessa per l’isola d’Elba e la penisola di Piombino; a sud, toccando gli isolotti meridionali dell’arcipelago toscano.
Per nulla invadenti, i Cartaginesi si contentavano allora di gestire, nel Tirreno, equilibri accettabili anche per la controparte. Ciò fino al momento in cui, sfruttando forse il limite tra le sfere d’influenza degli altri popoli, non vennero a inserirsi in questo reticolo commerciale e strategico, aprendosi il passo oltre le isole di Sardegna e Corsica, i Focei provenienti dall’Asia Minore. Esistono, a proposito della colonizzazione focea, due serie ben distinte di testi. La prima pone la fondazione di Massalia-Marsiglia intorno all’anno 600 avanti Cristo: tra gli autori che sostengono questa tesi figura Giustino, secondo il quale i Greci d’Asia furono spinti a muoversi verso occidente dalle ridotte dimensioni del loro territorio d’origine e dalla povertà del suolo. L’altro gruppo di fonti, capeggiato da Erodoto, ricollega invece l’iniziativa alla minaccia portata contro Focea, tra il 545 e il 540, dai Persiani di Ciro il Grande. Di fronte alla prospettiva di sottomettersi al Gran Re, una parte degli abitanti decise di emigrare, dirigendosi verso Kyrnos, quella Corsica sulla cui costa orientale, per indicazione di un oracolo, era stato impiantato vent’anni prima (e dunque verso il 565-560) un punto di scambio.
Qui, sempre secondo Erodoto, nacque ora una vera città; all’interno della quale i nuovi arrivati vissero per cinque anni insieme con i primi coloni, praticando la pirateria «ai danni di tutti i popoli vicini», fossero Etruschi di Toscana o Punici di Sardegna. Tale comportamento scatenò infine la reazione congiunta delle potenze tirreniche. Ispirato probabilmente da tradizioni nate in Magna Grecia sulle origini di Velia (altra colonia ellenica sorta nell’attuale provincia di Salerno), il racconto di Erodoto non ricorda, a proposito di queste vicende, la città di Massalia; mentre allusioni poco chiare di Tucidide, Strabone e Pausania hanno contribuito a far credere a una fondazione tarda o a una seconda colonizzazione della stessa polis.
Tale tradizione sembra però da respingere: Massalia era nata, in realtà, circa cinquant’anni prima, una datazione confermata dal riscontro archeologico, poiché dal 580 circa su quel mercato cresce la presenza di vasellame ionico d’uso e di anfore per il trasporto del vino, alternate a prodotti di lusso (ceramica attica, corinzia, laconica) dal Mediterraneo di Levante. Non è dunque Marsiglia che, vedendo minacciata la loro patria, i Focei esuli scelsero di fondare, ma Alalìa, non più semplice emporion, bensì colonia vera e propria. La posizione, strategicamente decisiva su una rotta marittima vitale, costituiva però, per i traffici etruschi e cartaginesi, un’insidia gravissima, minacciando il tragitto tirrenico che dallo stretto di Messina, per la Campania, il Lazio e l’Etruria, raggiungeva l’attuale Francia meridionale appoggiandosi proprio sulla Corsica. Una volta ancora l’archeologia conferma l’analisi storica: è in questo momento che nei centri fenici della Sardegna le importazioni risultano quasi del tutto assenti.
La sfida lanciata dai Focei portò così a un drastico mutamento nei rapporti tra le due potenze amiche; che, superando il livello della semplice intesa, strinsero ora una vera alleanza militare. Riunite le loro forze navali, Punici ed Etruschi (e, tra questi, certamente gli abitanti di Agylla-Caere) affrontarono per mare, nelle acque antistanti la stessa Alalìa, la flotta dei nuovi venuti: è la battaglia a cui è dedicata la mostra in corso a Vetulonia.
Le non molte notizie che abbiamo sullo scontro vengono da Erodoto: conosciamo da lui sia la consistenza numerica della squadra ellenica, ben sessanta navi, sia la tipologia dei vascelli, da guerra ma impiegati anche per il trasporto, le pentecontere, il cui nome si doveva ai cinquanta rematori divisi su ambo i lati. I Focei furono soverchiati dal numero, forse addirittura doppio, delle navi nemiche; Erodoto, che assegna loro una «vittoria alla Cadmea» (tale cioè da lasciare – come Eteocle e Polinice, figli di Cadmo, che si uccisero reciprocamente sotto Tebe – il vincitore a mal partito quanto lo sconfitto…), si smentisce però subito, affermando che quaranta navi greche vennero distrutte e che le altre, con gli speroni deformati negli scontri, furono di fatto impotenti a continuare la lotta. Pur avendo forse inflitto al nemico perdite superiori alle loro, gli Elleni dovettero così cedere il campo, imbarcando donne e bambini e facendo vela verso sud-est. Avrebbero, in seguito, fondato Velia (o Elea) in Campania.
Un ultimo particolare riferisce Erodoto. I prigionieri ebbero sorte diversa a seconda dei catturatori: i più crudeli furono gli Agyllei-Ceriti, che lapidarono quanti tra i Greci, ed erano i più, erano toccati loro. Ne scaturì, secondo Erodoto, una maledizione divina capace di rendere deforme, storpio o impotente qualunque essere vivente, uomo o animale, che passasse sul luogo della strage. Rivoltisi a Delfi, per ordine della Pizia i Ceriti offrirono poi periodicamente ai Mani dei Focei (le anime dei defunti) ricchi sacrifici, celebrando in loro onore agoni ginnici ed equestri.
Quanto a Roma, la città profittò dell’amicizia con Caere. Al 509 si fa risalire il primo trattato con Cartagine; e la menzione di un Clavtie/Claudius graffita su una kylix (vaso di ceramica) ceretana da Alalìa, databile al 420 circa a.C., documenta fino dal V secolo la sua compartecipazione alle iniziative mercantili etrusche. Una notizia riportata da Teofrasto nella Historia plantarum accenna infine alla spedizione, in data imprecisabile, di una squadra romana di 25 navi, inviata senza esito a fondare in Corsica, controllata dagli Etruschi, una vera colonia.