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 2019  giugno 23 Domenica calendario

In Italia non ci sono più medici

Nelle torride corsie estive si aggirano tanti pazienti e pochi camici bianchi. I medici che un tempo riempivano i reparti oggi non ci sono più, hanno lasciato per raggiunti limiti di età e non stati sostituiti. Del resto fuori, quando vengono banditi i concorsi, non si trovano nuove leve, e in periodo di ferie la loro assenza si fa sentire più del solito per i colleghi che sono rimasti al loro posto e per i primari che cercano senza successo di far quadrare i turni. Per affrontare le carenze, nei mesi scorsi, gli assessorati alla Salute hanno messo in piedi misure di grande creatività, anche se non sempre di grande efficacia. Per tappare i buchi si è fatto ricorso a medici pensionati, stranieri, militari, neolaureati, gettonati e affittati. Ad oggi, stimano i sindacati, nelle corsie sono scomparsi 8mila professionisti rispetto ad alcuni anni fa. Ed è solo l’inizio: altri 16.500 mancheranno da qui al 2025.
D’estate, con le ferie, le difficoltà diventano quasi insormontabili. Gli ospedali, anche se la domanda sanitaria nei mesi caldi cala meno di un tempo, riducono i letti e tagliano gli interventi chirurgici programmati anche di un quarto per lasciare posto solo a quelli urgenti. Il pronto soccorso continua a lavorare a pieno regime pur essendo uno dei reparti con più difficoltà, insieme a Pediatria, Medicina interna, Anestesia e chirurgia generale.
I motivi delle carenze
Schematicamente, il problema del sistema sanitario è che escono più medici di quanti ne entrino, non solo a causa del blocco del turnover nelle Regioni con il piano di rientro dal debito (che tra l’altro è stato appena tolto). No: la chiave del problema, quello che tutti chiamano «l’imbuto», sono le scuole di specializzazione post-laurea. Durano quattro o cinque anni e hanno ancora troppo pochi posti. Da qui al 2025, stima il sindacato Anaao, daranno al sistema circa 36 mila professionisti. Molti altri, circa 14 mila specializzati, andranno invece a lavorare nel privato, nelle case farmaceutiche o sul ben più attraente – dal punto di vista delle soddisfazioni personali e della retribuzione – mercato estero. Ma nello stesso periodo andranno in pensione 52.500 camici bianchi, tutti coloro che nel 2018 avevano più di 55 anni. Cioè oltre la metà degli ospedalieri italiani.
Pensionati e stranieri
Il Veneto è stato una delle Regioni più dinamiche nel tentativo di contrastare le carenze. Prima ha proposto di richiamare chi era stato pensionato nei due anni precedenti, poi ha cercato di stringere accordi con università della Romania per reclutare i neo-specializzati. Non risulta che le due misure abbiano ancora dato risultati, e a dir la verità la “questione romena” con il tempo si è trasformata in un tentativo di richiamare gli italiani che erano andati a studiare a Bucarest. Ai pensionati, comunque, hanno pensato anche il Friuli e altre realtà locali.
A gettone o in affitto
Già l’anno scorso in Piemonte sono arrivati i medici a gettone e in affitto, reclutati per fare anche solo un paio di notti. Oppure per periodi un po’ più lunghi nei reparti con l’acqua alla gola. Talvolta, questi professionisti arrivano anche da lontano con la promessa di paghe molto alte, fino a 90 euro l’ora. Quest’anno però il sistema funziona meno: anche le agenzie, che lavoravano soprattutto con le regioni del Nord, hanno difficoltà a trovare dottori.
Neolaureati e militari
La Toscana ha pensato di risolvere le difficoltà dei pronto soccorso facendo un bando per i medici con la laurea, ma non specializzati. I contratti però non risolvono il problema a lunga scadenza, visto che durano due anni e servono a formare i professionisti, che dopo possono lavorare solo sulle ambulanze. Da luglio, comunque, 170 giovani andranno a rinforzare il settore dell’Emergenza. In Molise, invece, si è pensato ai medici militari per dare una mano alle ortopedie della regione. L’idea per ora non è andata molto lontano. Piuttosto, d’accordo con il ministero, ha dato una mano il Lazio, che ha inviato quattro ortopedici del San Giovanni di Roma.
Le misure del governo
La ministra Giulia Grillo ha ottenuto la conversione in Parlamento del “decreto Calabria”, in cui sono previste due misure importanti per ridare fiato agli ospedali. La prima è lo sblocco del turnover nelle Regioni con il piano di rientro, la seconda dà la possibilità di assumere gli specializzandi all’ultimo anno di studi. Sono provvedimenti che rimpolperanno un po’ il sistema nel giro di alcuni mesi. Avrà effetti ancora più avanti un atto adottato con il Miur, cioè l’aumento delle borse per le specializzazioni da 6.100 a 8.000 all’anno. L’estate, ormai, passerà così, con paurosi vuoti in corsia.