ItaliaOggi, 22 giugno 2019
Il presidente messicano chiede al Re di Spagna di scusarsi per l’attacco agli aztechi di 500 anni fa
A marzo il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha chiesto alla Spagna e al Vaticano di scusarsi pubblicamente per avere colonizzato il suo Paese attraverso la sconfitta degli aztechi 500 anni fa. Lo ha fatto annunciando attraverso un video condiviso su Facebook e Twitter di avere «...spedito una lettera al Re di Spagna e un’altra al Papa di modo che possano chiedere perdono ai popoli indigeni per le violazioni di ciò che oggi sono chiamati diritti umani».Il governo spagnolo ha respinto la proposta. Il ministro degli esteri, Josep Borrell, ha detto che è «strano ricevere ora questa richiesta per eventi che si sono svolti 500 anni fa». Si è chiesto retoricamente se la Spagna dovesse pretendere le scuse dai francesi per l’invasione della penisola iberica in epoca napoleonica, oppure la Francia «dall’Italia per la maniera in cui i romani sotto Giulio Cesare avevano conquistato i galli». Il Vaticano ha citato le scuse già offerte dal Papa Bergoglio in un discorso ai «diseredati» boliviani nel 2015: «Chiedo umilmente scusa non solo per le offese della Chiesa stessa, ma anche per i crimini commessi contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista delle Americhe».
Nel novembre scorso il primo ministro canadese Justin Trudeau ha chiesto scusa per gli abusi storici commessi dal suo Paese contro i nativi indiani d’America. A settembre Emmanuel Macron si era già scusato per le torture usate contro gli indipendentisti algerini dall’esercito francese nei tardi anni 50. Barack Obama era chiamato dai critici americani «the Great Apologizer» per la facilità con cui da presidente andava per il mondo a scusarsi per questo o quell’altro misfatto storico Usa. Sono note le richieste dei movimentisti nordamericani che l’Italia porga le sue scuse per la temerarietà di Cristoforo Colombo nell’avere reso possibile l’invasione delle Americhe con i suoi viaggi di scoperta.
Il fenomeno non è solo occidentale, anche se molto si deve all’attuale momento «social». Le due Coree pretendono la reiterazione giapponese delle scuse «finora insufficienti» per i comportamenti tenuti durante la seconda guerra mondiale. La Cina pretende simili richieste di perdono da altri paesi, ma per politica non ne offre delle sue, nemmeno per l’invasione militare cinese del Vietnam nel 1979 – forse perché, con enorme sorpresa di Pechino, il Vietnam ha fatto a pezzi senza particolare difficoltà le truppe della People’s Liberation Army, l’esercito popolare di liberazione...
Almeno i fatti orientali citati sono avvenuti in tempi a memoria d’uomo. Ha senso ora pentirsi per i torti, irrecuperabili, commessi dagli antenati di 500 o mille anni fa? La filosofa Janna Thompson, della Trobe University australiana, ha analizzato la questione etica in un suo studio, The Apology Paradox. La difficoltà, scrive, è che «chiedere scusa implica il nostro sincero rincrescimento. Ciò però significa che preferiremmo che questi atti non fossero mai stati commessi. Ma se fosse così, allora molto probabilmente noi non esisteremmo nemmeno. Possiamo sinceramente dispiacerci per azioni che hanno permesso la nostra stessa esistenza?». Secondo la filosofa, «è possibile solo esprimere la preferenza per un mondo ipotetico nel quale la nostra esistenza non fosse dipesa da questi atti».