il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2019
Niente più armi ai sauditi. Usa e Gran Bretagna dicono no
Non è un buon momento per la casa regnante dell’Arabia Saudita e per il suo principe plenipotenziario, Mohamed bin Salman. Ieri, un uno-due inaspettato le è stato sferrato da due alleati strategici, Stati Uniti e Gran Bretagna, che hanno posto un altolà alla vendita di armi utilizzate nella guerra in Yemen, dove l’Arabia Saudita appoggia il governo contro la rivolta sostenuta dall’Iran. Notizia che segue quella del giorno precedente relativa al dossier dell’Onu che indica proprio in Bin Salman il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi.
Negli Stati Uniti è stato il Senato, a maggioranza repubblicana, a votare con 53 voti a 45 la prima di tre risoluzioni che impedirebbero le vendite per 8,1 miliardi di dollari autorizzate a fine maggio dall’Amministrazione Trump. I contratti riguardano vendita di armi, munizioni e manutenzione di velivoli ad Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania. Nella scelta dei senatori ha pesato moltissimo il rapporto dell’Onu sull’omicidio Kashoggi.
Ma anche la Gran Bretagna ha annunciato ieri la sospensione delle vendite di armi. Lo ha spiegato direttamente alla Camera dei Comuni il ministro del Commercio estero, Liam Fox, adeguandosi al verdetto della Corte d’appello di Londra che ha dichiarato illegale la procedura finora seguita. Cox ha voluto precisare che l’esecutivo – che attende il cambio della guardia dopo le dimissioni di Theresa May – non condivide il parere dei giudici e intende far ricorso di fronte a un terzo grado di giudizio contro la sentenza. Ma intanto la vendita è stata fermata.
Per Ryad, quindi, i fattori di difficoltà si moltiplicano e sembrano inserirsi in un quadro sistemico. Sul piano economico il calo del prezzo del petrolio nel triennio 2015-2017 ha fatto diminuire gli introiti erariali provocando un deficit crescente. Sul piano diplomatico, la guerra in Yemen, che nasconde un conflitto a distanza con il principale nemico, l’Iran, si trascina da anni senza esito e con sofferenze incredibili tra la popolazione civile. Il conflitto con il Qatar è in corso e l’area mediorientale è ben lontana dal trovare una stabilizzazione. Le riforme interne sembrano molto di facciata, mentre si intravede una società che vorrebbe evolvere rispetto ai dettami di una delle monarchie più reazionarie al mondo.
Il problema della vendita di armi che vengono destinate alla guerra in Yemen riguarda anche l’Italia per via delle bombe Rwm prodotte in Sardegna. Il governo finora ha preso tempo, ma non è riuscito ad assumere alcuna iniziativa.
È quanto sottolinea il Pd con Lia Quartapelle secondo cui “il governo non può più restare indifferente”. Sul fronte governativo, però, l’unica dichiarazione è del capogruppo in commissione Esteri al Senato, il 5Stelle Gianluca Ferrara, che chiama in causa proprio il ministero degli Esteri: “Da oltre un mese la Farnesina non risponde alla nostra interrogazione parlamentare con cui abbiamo chiesto di spiegarci perché non abbia ancora provveduto a fare lo stesso con le bombe della Rwm”. L’interlocutore scelto da Ferrara è il ministro Moavero e il sottosegretario leghista agli Esteri, Guglielmo Picchi: “Non abbiamo avuto nessuna risposta, né da parte del ministro Moavero, né da parte del sottosegretario Picchi che ha la delega in materia di esportazione di armamenti”. E così il senatore 5Stelle ha presentato una proposta concreta: “La Farnesina potrebbe adottare un provvedimento sulla base del Trattato Onu sul commercio di armamenti e della Posizione comune europea”. Ma il punto, spiega ancora il senatore, è modificare la legge 185 che regola il commercio di armi, per “porre fine all’assurda mancanza di controlli sulle forniture militari in regime di cooperazione bilaterale, ma anche per rendere automatico, non più discrezionale, il diniego di autorizzazioni”. Se fosse vero che è sufficiente una rapida modifica alla 185, non sarebbe difficile farlo. Altri Paesi sembrano siano in grado di farlo meglio.