il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2019
Milano ha recuperato 5,6 miliardi dai grandi evasori
Meno processi agli evasori, con risultati sempre incerti. E più soldi sicuri che entrano nelle casse dello Stato. È questo il “modello Milano” messo a punto dalla Procura guidata da Francesco Greco, che ha permesso al fisco di recuperare negli ultimi tre anni una cifra enorme: 5 miliardi e 600 milioni di euro. Sono il risultato delle trattative seguite a 121 verifiche fiscali ad aziende o persone fisiche considerate “grandi evasori”, a cui cioè sono state contestate evasioni superiori al milione di euro. Tra le aziende ci sono i big della net economy, da Amazon a Google, da Apple a Facebook. Ci sono i grandi della moda, da Prada ad Armani, da Gucci a Loro Piana. C’è Mediaset, insieme a tante altre grandi società con sede a Milano. Qualche persona fisica: Ezio Greggio, l’attore e conduttore televisivo che ha pagato al fisco 20 milioni; Carmine Rotondaro, l’ex manager del gruppo Kering (Gucci) che ha versato all’erario 13 milioni; Anna Maria Ghezzi, l’ultranovantenne vedova dell’imprenditore della moda Aldo Gavazzi, che ha pagato 15 milioni di euro.
Il “metodo Milano” nasce dalla collaborazione tra Procura, Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate. Il percorso che porta al recupero di tasse non pagate parte a volte da un’indagine penale della Procura (come nel caso Gucci), altre volte da verifiche fiscali della Guardia di finanza. In questi casi, le Fiamme gialle stilano un verbale di constatazione che poi passano all’Agenzia delle Entrate la quale, dopo le sue verifiche, chiude un verbale di accertamento. A questo punto entra in campo la Procura, che avvia una interlocuzione con l’azienda che tiene conto di due piani: quello fiscale, per stabilire la cifra da pagare con l’“adesione all’accertamento”; e quello penale, che di solito si chiude con un patteggiamento. Con questo metodo, Gucci, a cui l’Agenzia delle Entrate chiedeva 1,4 miliardi di euro, ha accettato di pagare 1 miliardo e 250 milioni, facendosi “scontare” quanto già pagato al fisco in Svizzera. Qualche magistrato ha in passato contestato questo metodo di “giustizia negoziata”, sostenendo che le Procure non possono abdicare al loro ruolo di perseguire i reati (anche fiscali), trasformandosi in esattori delle tasse. Il procuratore Greco risponde ai dubbi ricordando che i reati tributari sono giudicati, secondo il codice, da un giudice monocratico che ha davanti, di solito, l’accusa rappresentata da un procuratore onorario (e non un pm esperto) e la difesa sostenuta invece da fior di avvocati e schiere di consulenti. Processi lunghi e difficili, dunque, con risultati di solito modesti. O del tutto nulli, visto che i reati di omessa dichiarazione e di infedele dichiarazione si prescrivono rapidamente. “Meglio portare a casa il risultato”, dicono alla Procura di Milano, e cioè il patteggiamento immediato davanti al giudice dell’indagine preliminare (gip), senza lunghi processi, e il versamento di una somma che chiuda il contenzioso con il fisco.
Questo meccanismo funziona quando le aziende sanno di avere di fronte interlocutori attendibili, e cioè una Procura in grado di guidare il rapporto con Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate e di presentare al gip una proposta credibile di patteggiamento. Ma anche inflessibili: chi bara o nasconde una parte dell’evasione sa che sarà perseguito senza tregua. “Le aziende devono capire che conviene pagare. E a Milano – dice Greco – lo hanno capito”. Lo provano i 5,6 miliardi entrati nelle casse dell’erario nel triennio 2016-2017-2018.
I risultati ottenuti, spiegano in Procura, sono figli anche della cultura della Voluntary disclosure realizzata a partire dal 2015. La “collaborazione volontaria” di chi aveva capitali all’estero e ha potuto regolarizzarli, dichiarandoli al fisco, ha permesso di “sbiancare” oltre 60 miliardi di euro, usciti dal “nero”, e ha portato nelle casse dello Stato 6 miliardi di tasse. Ma ha anche offerto al fisco – per la prima volta, a differenza di quanto succedeva prima con le sanatorie anonime – una imponente mole di documenti su attività finanziarie prima occulte. Ora i magistrati milanesi sono in attesa dei risultati che potrebbero arrivare dal Crs (Common reporting standard), il nuovo sistema che obbliga 110 Paesi del mondo ¬ compresi Svizzera, San Marino, Malta e le isole caraibiche da sempre paradisi fiscali – a scambiarsi dati bancari e finanziari, senza più bisogno di lunghe e incerte rogatorie penali. L’eterna gara tra chi evade e chi insegue gli evasori continua.