La Stampa, 21 giugno 2019
La lezione di Jeff Bezos: le grandi conquiste sono alla portata della libera impresa
Per che cosa ricorderemo questo 2019? Forse lo ricorderemo come l’anno in cui abbiamo capito che la nostra generazione sarebbe stata l’ultima a ricordare una Luna senza luci. Dalla Terra alla Luna di Jules Verne è del 1865: avevamo appena cominciato a disegnare strade ferrate in giro per l’Europa. Il sogno dell’esplorazione spaziale ha fatto fortuna ai tempi della Guerra fredda: che si trattasse della cagnetta Laika o di Neil Armstrong, i cieli erano il teatro ideale per la propaganda la più costosa.
Oggi Virgin Galactic di Richard Branson dichiara di avere pronte carte d’imbarco a centinaia per un giretto dello spazio e promette che entro fine anno partirà un primo volo di sei passeggeri. Space X di Elon Musk ha appena lanciato in orbita i primi 60 esemplari di una futura rete di satelliti per fornire Internet da lassù. Anche Blue Origin promette per la fine dell’anno il suo primo lancio con esseri umani a bordo. L’impresa di Jeff Bezos dapprima è parsa a molti come lo sfizio di un uomo che se li era già tolti tutti. Ma il 9 maggio il fondatore ha svelato al mondo Blue Moon, il suo lander per un prossimo allunaggio.
Le grandi novità si costruiscono coi mattoni delle innovazioni precedenti. Amazon non ha dovuto inventare il francobollo, il telefono, le carte di credito o Internet. Il genio imprenditoriale di Bezos è stato mettere assieme tutte queste cose, unire i puntini, per ammodernare un’idea, il grande magazzino. L’uomo più ricco del mondo vuole essere ricordato per qualcosa che starà alla conquista dello spazio come il telefono all’e-commerce. La sua visione è quella di una umanità extra-terrestre: la Terra diventerà una specie di enorme centro benessere, tutto ciò che inquina sarà altrove. Blue Origin ha già con successo ridotto drasticamente il costo dei lanci spaziali, con veicoli che possono essere in larga misura riutilizzati.
Basta questo per capire che cosa sta cambiando. L’allunaggio è tutt’ora la metafora preferita di coloro che vorrebbero sostituire al mercato una qualche forma di pianificazione: rappresenta il più grande successo mai ottenuto concentrando risorse per un solo obiettivo, «costi quel che costi». Se presumiamo di non vivere in condizioni di scarsità, non ci sono problemi economici: solo problemi ingegneristici.
Per Bezos l’esplorazione spaziale è invece un puzzle da risolvere con spirito imprenditoriale. Le sue ambizioni ricordano in tutto e per tutto quelle di un personaggio d’immaginazione, Delos D. Harriman, L’uomo che vendette la Luna in un racconto di Robert A. Heinlein del 1949. Cercando di figurarsi, vent’anni prima di quel fatidico 20 luglio 1969, il primo allunaggio, Heinlein ricordava che le grandi avventure richiedono doti che ai tecnici di solito fanno difetto: la capacità di coordinare il lavoro altrui, la determinazione esercitata anche a spese della popolarità, una forte propensione al rischio. Harriman, un concentrato di qualità imprenditoriali, era, come Bezos oggi, una specie di messia del viaggio spaziale, che arriva dopo una lunga stagione di fallimenti. Si tiene ben alla larga dalla Nasa («non voleva nessun sussidio») e si confronta con gli stessi problemi che assediano il proprietario di Blue Origin. All’uno e all’altro, alcuni li risolveranno scienziati e ingegneri: quale carburante utilizzare, come rendere efficiente il lancio. Per altri serve l’istinto dell’imprenditore.
Sul nostro satellite, Delos ci arriverà solo per chiudere gli occhi per sempre, come Heinlein racconta nell’episodio più toccante della sua Storia futura, intitolato «Requiem» per l’epitaffio che Robert Louis Stevenson scrisse per sé stesso e che calza a pennello all’Harriman allunato e defunto («Qui egli giace dove più largamente visse / Il marinaio è a casa sua per mare / e il cacciatore ha casa sulla collina»).
L’intuizione di Heinlein, che nel 1969 avrebbe commentato, assieme a Walter Cronkite e al collega Arthur Clarke, la passeggiata di Armstrong, era semplice. Se il sistema della libera impresa è riuscito a costruire le ferrovie e il telegrafo, la nave a vapore e il telefono, perché pensare che non possa rifare la stessa cosa, ancora più in grande?
Un cinico risponderebbe che nessuno rischia tanto, finché ha il frigorifero pieno. Gli investitori sono conservatori, preferiscono rendimenti più prossimi nel tempo e opportunità meno azzardate. Dietro speculazioni ardite come il viaggio spaziale, dovrebbero esserci prospettive di guadagni sardanapaleschi, o qualche strumento per mitigare i rischi.
Le imprese sono però avventure umane, e ogni tanto le muove proprio lo spirito d’avventura. Delos è un genio e un furbastro: come forse lo sono, chi più l’una chi più l’altra cosa, tutti gli uomini d’azienda. Come molti uomini d’azienda, però, ha anche uno sguardo visionario, la granitica convinzione di saper vedere meglio e più in là. È questo che giustifica, agli occhi suoi e del lettore, mezzi e mezzucci, intuizioni geniali e trucchi da pirata.
L’uomo che vendette la Luna, a venderla, fa fatica. Deve venderla, in prima battuta, a un pubblico disilluso. Deve convincere gli investitori, mediare con i governi, vendere pubblicità, ninnoli e diritti allo sfruttamento delle risorse lunari per finanziare il viaggio. Il profitto per Delos è un fine, ma non il fine ultimo. A muoverlo è il sogno, l’ambizione di andarci lui, sulla Luna. Fare profitti è l’unico modo per arrivarci: quattrini quanti servono, bilanci in ordine.
C’è da scommettere che Bezos sulla Luna metterà piede, a differenza di Harriman, trattenuto dagli azionisti che non possono rischiare il loro re Mida. Quella di Delos è una lezione che Bezos conosce senz’altro. Il socio di Harriman, George Strong, lo convince a far fare un andata e ritorno dalla Luna a alcuni francobolli, preziosi cimeli per appassionati (Delos, per la verità, tratta la questione con una certa disinvoltura). Blue Origin ha gemmato una piccola non profit, il Club for the Future. Se gliela inviate entro il 20 luglio, promette di spedire una vostra cartolina nello spazio e riportarla a casa.