Libero, 21 giugno 2019
Benedetto Croce, una nuova biografia controcorrente
Benedetto Croce è nato a Pescasseroli (Abruzzo).
«Ancora io non mi persuado dell’interesse che ha avuto l’Inghilterra, e che ha ferocemente perseguito, di rendere debole e impotente e quasi annullare l’Italia, che era ed è necessaria all’Europa tutta. E un lampo mi rischiarò la mente, quando il signor Churchill dichiarò sprezzantemente che l’Inghilterra non ha bisogno dell’Italia, né della Spagna, né della Germania». A scrivere queste note sconsolate, nel settembre 1947, non era un reduce di Salò ma l’alfiere liberale dell’antifascismo, Benedetto Croce, che denunciava lucidamente la politica di potenza britannica e la pace “punitiva” anziché “costruttiva”. Non credeva quindi che l’indipendenza italiana fosse «felicemente destinata a dissolversi in nuove forme d’integrazione sovranazionale». Testi pubblici a disposizione di chiunque. Sosteneva un antico maestro di studi storici, Armando Saitta, che nulla è più inedito dell’edito. Insegnando con ciò la necessità della costante rilettura di fonti capaci di sovvertire tradizioni storiografiche dogmaticamente radicate e politicamente controllate. Un esercizio eseguito con coraggio da Eugenio Di Rienzo, noto per i suoi recenti studi sulla politica estera italiana durante il fascismo, che oggi sottrae Croce, fra gli anni tragici in cui si chiudeva la guerra e si aprivano nuovi scenari internazionali, allo “stralunato patchwork” politicamente imposto dalla necessità di fornire un’immagine compatta dell’antifascismo italiano. CONVIVENZA Il liberalismo di Croce era con ciò forzato a convivere col democratismo di Giovanni Amendola, col ribellismo di Ernesto Rossi, coi furori di Gaetano Salvemini («sciagurato Salvemini», per Croce capace solo di «ingiuriare e calunniare») e addirittura con quadri comunisti. Una rilettura che porta Di Rienzo a ridefinire e riposizionare persone e culture politiche tra loro inafferenti e anzi avverse, smontando la narrazione pubblica di un’unità politico-culturale dunque falsata e tale da giustificare il titolo della collana “dritto/rovescio” inaugurata da questo suo pregevole Benedetto Croce. Gli anni dello scontento. 1943-1948 (Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, pagg.178 euro 14). Volume che restituisce Croce alle sue fonti dirette e che, muovendo da considerazioni interne alla ricomposizione di un quadro politico italiano dopo la “congiura di palazzo” del 25 luglio ’43, rilegge con clamorose conseguenze, come quelle dei rapporti subordinati con l’Europa, alcuni dei maggiori snodi di politica internazionale in cui furono coinvolti tutti i governi italiani, da quelli badogliani del Regno del Sud, a quelli repubblicani di De Gasperi. Un itinerario politico-storiografico dunque ricco; e profondamente amaro. Impietoso il bisturi di Di Rienzo nell’incidere la grande farsa della tradizionale inclinazione britannica favorevole, per le sorti istituzionali dell’Italia, alla monarchia piuttosto che ad una radicale e imprevedibile repubblica. Macché! Fu un brutale disegno geopolitico anti-italiano, di cui Croce continua ad essere imbarazzante e micidiale testimone d’accusa. Un disegno che prende avvio dall’agghiacciante armistizio dell’8 settembre ’43, con clausole così dure e umilianti a danno dell’Italia da dover essere tenuto segreto e da tutelare mantenendo al vertice dello Stato italiano un re fellone e un governo imbelle come quello di Badoglio. Uno Stato così screditato era la miglior garanzia dello “sgabello per i piedi” britannico. L’Italia doveva essere punita per aver alzato la testa e posto in discussione l’egemonia britannica nel delicato scacchiere mediterraneo. Giudizi impressionanti quelli di Croce, ricordati da Di Rienzo, sulla violenza inglese contro l’Italia. Condivisi anche da importanti esponenti antifascisti di tradizione liberale come Vittorio Emanuele Orlando.
IL SUSSULTO Umiliata e isolata, l’Italia riuscì a reagire con un sussulto di dignità e astuzia diplomatica, grazie all’ambasciatore Renato Prunas, ristabilendo a sorpresa rapporti diplomatici con l’Urss. Gli alleati occidentali accusarono il colpo; ma fu una vittoria di Pirro. L’Urss premette subito per favorire le pretese di Tito sulla Venezia Giulia, per pretendere risolutamente un’epurazione antifascista-antiborghese mentre si sviluppava una sanguinaria lotta partigiana antiborghese come antifascista. Altra resistenza, altra nobiltà ideale sarebbe stata quella manifestata da Croce contro la ratifica del Trattato di pace, vissuto come violenza inferta all’Italia tutta, senza distinzione tra fascisti e antifascisti. Persino Salvemini e Valiani allora si schierarono con Croce. Tutto inutile; quell’antica Italia risorgimentale fondata su onestà, patriottismo, etica pubblica… veniva ora aggredita da nuove malavitose classi dirigenti. Croce ne percepì la pericolosa presenza pur in una Dc degasperiana con cui aveva combattuto per l’ingresso dell’Italia nella Nato. Persino in quella lontana Dc Croce ravvisò una posizione «che piuttosto che avversaria, è complice del bolscevismo». Fu facile profeta: si profilava una Dc ladra di voti moderati in nome di un anticomunismo di sola facciata, avversa allo stato di diritto, allegramente incompetente a misurare la distanza del sogno dalla realtà di un’Europa che sostituiva Atene con Francoforte, le radici classiche con le imposizioni finanziarie.