la Repubblica, 21 giugno 2019
I primi passi di Sarri alla Juve (con buona pace del Napoli)
Giocherà anche a zona, Maurizio Sarri, ma la sua prima azione bianconera è un contropiede. È arrivato e ha detto non so cos’è il sarrismo, non so cos’è lo stile Juve ma so cosa sono le persone. Non è scappato dal passato, dal Napoli, da Napoli, non ha nascosto quel dito medio: venne a Torino e lo mostrò a un gruppo di deficienti che gli avevano sputato addosso e lo avevano insultato. Alzò dunque il dito, Sarri: non doveva e lo ha ammesso, ma forse quella volta indicava la luna.
Molto colpisce, nell’immaginario, la giacca scura con cui si è presentato, ma proviamo ad andare oltre gli schemi. Semplicemente, è come se Maurizio Sarri avesse abitato sempre in quei panni e magari è pure vero, nell’eleganza formale c’è anche un avviso ai naviganti: recitiamo sempre una parte, questo è teatro e insieme al copione cambiano gli abiti di scena. Non è falsità, è la vita. Il calcio è un luogo di appartenenze potenti e Sarri non nega la propria, non dimentica il tifoso bambino che amava il Napoli, l’avversario che presto dovrà tornare laggiù: «Se mi applaudono sarà una manifestazione d’amore, se mi fischiano sarà una manifestazione d’amore». La parola che conta è evidente, sta sempre alla fine della frase.
La metamorfosi istantanea di Sarri ha molto sorpreso, nella lunghissima conferenza stampa dentro la sala nera dello stadio intitolata a Giovanni e Umberto Agnelli. L’ultima volta l’avevano usata per Cristiano Ronaldo. Il sospetto è che proprio Sarri sia il Ronaldo di quest’anno, almeno nelle ambizioni e nelle speranze di cambiamento. Lo hanno preso per vincere il solito scudetto, certo (ma attenzione: «Vittoria dovuta è sconfitta certa», e qui Sarri sembra un misto di Boskov e Liedholm), e ovviamente per mettere le dita sull’argento della Champions (però occhio: «Il coefficiente di difficoltà è mostruoso»). Ma lo hanno voluto anche per dare un’altra occasione ai grandi reietti, Dybala e Douglas Costa specialmente. Sarri ha detto senza problemi che Dybala e Ronaldo giocheranno insieme, che Douglas Costa è un campione ancora inespresso, che Bernardeschi gli piace moltissimo e che per Higuain dipenderà da Higuain (a naso, un addio). La parola all’attacco, dunque, e che le punte negli ultimi trenta metri di prato facciano un po’ quello che vogliono. L’esatto contrario di un integralista. «Vogliamo divertirci noi per primi. Non sono un traditore, ma con la Juve a volte ho sbagliato toni e modi».
Più che un incontro è stato uno smontaggio di luoghi comuni. Il ruvido e grezzo Sarri non è ruvido e grezzo. Lo zonista Sarri non giocherà solo a zona, ma partirà dai campioni e dalla loro natura per arrivare infine al gioco. L’anti-juventino e capopolo, il comandante degli assalti anche ideologici al potere dice che la Juve è il massimo per chiunque. Assai probabile che l’abbia sempre pensato. «Se avessi detto no, avrei mancato di rispetto alla mia carriera», anche questa è un’idea molto forte. Capiamo che a Napoli ci siano rimasti male, però hanno risposto con grande intelligenza: il video del club con gli auguri ironici allo scaramantico S arri è una perla, e indica la strada giusta. Ridiamoci anche un po’ sopra, vivaddio. Se questo è teatro vi si recitano commedie, non tragedie.
Più ragione e sentimento che orgoglio e pregiudizio, la prima conferenza di Sarri è stata il discorso del re, l’intronizzazione. Sarri come il Papa che si affaccia per la prima volta dalla loggia, e diventa Papa nell’esatto momento in cui un sarto lo veste di bianco. Eppure, confessano tutti i vaticanisti, in quell’istante è come se il pontefice fosse vestito così da sempre. Ma quest’uomo non giovane e non vecchio, mai raccomandato, figlio del gruista Amerigo (Italsider, Bagnoli) sa che alla Juventus le teste dei sovrani si ghigliottinano quando non vincono. È una legge eterna, è quella famosa storia dell’unica cosa che conta. Ma chi arriva dal basso ha di sicuro imparato a cadere. Però che gusto, quando invece è ora di volare.