la Repubblica, 21 giugno 2019
La Lega, il M5s e il compromesso sull’Ilva. L’addio all’immunità resta ma sarà votato anche un ordine del giorno che impegna l’esecutivo ad intervenire immediatamente qualora dovessero sorgere problemi occupazionali
Anche sull’Ilva l’ennesimo compromesso tra M5S e Lega. Una quadratura che, com’è nella cifra di questo esecutivo, rinvia sine die la soluzione dei problemi. Salvaguardando la convivenza dei due azionisti del governo, ma in questo caso lasciando nel limbo dell’incertezza le migliaia di lavoratori della più grande acciaieria d’Europa, i proprietari dell’azienda e i cittadini di Taranto che ancora combattono per un futuro senza veleni nell’aria della città.
La partita si gioca sulla norma che, inserita da M5S nel decreto Crescita e osteggiata dalla Lega (articolo 46), limita al 6 settembre 2019 l’immunità penale sull’attuazione del piano ambientale per proprietari e amministratori dell’Ilva. Una “bandierina” destinata, nelle intenzioni dei grillini, a recuperare il consenso di un elettorato che proprio sulla promessa tradita della chiusura dell’acciaieria aveva incassato la prima delusione dal leader del movimento (e vicepremier), Luigi Di Maio. Addebitandogliela nei successivi appuntamenti alle urne.
Il decreto Crescita, sul quale il governo ha posto la fiducia, sarà votato oggi alla Camera, passerà poi all’esame del Senato e convertito in legge entro il 29 giugno. Il compromesso si è raggiunto la notte di mercoledì a palazzo Chigi: l’addio all’immunità penale resta confermato nel testo (ieri non è stata inserita dal relatore nell’elenco delle modifiche chieste dal governo), ma sarà votato anche un ordine del giorno che impegna l’esecutivo ad intervenire immediatamente qualora dovessero sorgere problemi occupazionali all’Ilva.
Contento Di Maio, contenta la Lega: la faccia è salva. Così, ieri il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha potuto mostrare i muscoli senza innescare contromosse degli alleati: «Le nostre imprese non lavorano scudate dall’immunità penale. Di Maio sta parlando con gli amministratori di ArcelorMittal per venire incontro alle loro richieste, che però devono rimanere nel solco della legge». Il riferimento è a vari provvedimenti normativi sull’Ilva, tra i quali appunto l’immunità, sui quali il Gip di Taranto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia.
ArcelorMittal ieri l’altro ha sostanzialmente minacciato una retromarcia dell’investimento su Taranto, spiegando che il venir meno dell’immunità, «relativa a problematiche che gli attuali gestori non hanno causato», pregiudicherebbe la capacità di gestire l’impianto mentre si attua il piano ambientale richiesto dal governo nel 2017. Una minaccia destinata a consolidarsi con il voto del decreto e dell’ordine del giorno a Montecitorio. E che ha messo in allarme imprese e sindacati: «Non si rispettano i patti firmati. protesta Confindustria – si inducono gli investitori ad abbandonare l’Italia e si scoraggiano nuovi investimenti. L’attenuazione dello scudo penale è un pessimo segnale per la reputazione del Paese».
Più o meno sulla stessa linea il leader della Cgil, Maurizio Landini: «Gli accordi vanno rispettati, questa era una delle clausole per la vendita dell’Ilva. Non si può, con misure demagogiche, mettere in discussione un processo importantissimo per Taranto e per il Paese».
Inevitabilmente interlocutorio, ieri, l’incontro tra azienda e sindacati sulla cassa integrazione per 1.400 operai che scatterà da luglio. Si rivedranno martedì. Ma tutto potrebbe precipitare nelle prossime ore.