la Repubblica, 21 giugno 2019
La vita normale di Anna Maria. È una manager di successo, è fidanzata e trans
Per lo Stato è ancora Andrea, per la sua azienda è già Anna Maria. Essere transessuale è fare carriera in una multinazionale è possibile. «Non è semplice, ma se famiglia, scuola, datore di lavoro stanno dalla sua parte la vita di una trans può essere normale, anzi, di successo». Anna Maria Antoniazza ha appena compiuto 39 anni, alle spalle ha due lauree all’Università Cattolica di Milano, Economia e Giurisprudenza.
Esperta in diritto delle tecnologie informatiche, robotica e intelligenza artificiale, oggi è una contract manager di Accenture, multinazionale di consulenza e direzione strategica. Fra i suoi principali clienti ci sono le più grandi compagnie di assicurazione. Fino ai 32 anni Anna Maria ha convissuto con il fatto di essere nato maschio, registrato all’anagrafe con il nome di Andrea. Poi ha dato avvio al suo periodo di transizione: due anni di trattamenti ormonali e sedute di psicanalisi che l’hanno trasformata in una donna.
Perché ha iniziato così tardi?
«Perché solo dopo essermi laureata due volte ed essere diventata manager ho deciso di affrontare lo scontento e il senso di solitudine che mi trascinavo dietro. Facevo sempre più fatica a vestirmi da uomo sul lavoro e da donna nel tempo libero ed è stato allora che i miei amici mi hanno indirizzato all’ospedale San Camillo Forlanini di Roma. Li ho è iniziato il mio percorso per la transizione di genere».
Fino allora come aveva vissuto ?
«La mia omosessualità è sempre stata evidente, ma la famiglia mi ha sempre capita e protetta. Alle elementari c’è stato il primo impatto con la realtà esterna: ero il classico bambino/bambina e venivo bullizzato dai compagni di classe.
Alle medie i miei genitori, per evitarmi traumi, mi hanno iscritto alla Dante Alighieri, seminario vescovile di Crema».
Ha avuto problemi in una scuola cattolica?
«Per nulla, ci sono stata benissimo. Ma ero un ragazzo molto riservato, passavo i pomeriggi in biblioteca, un vero secchione. Lo stesso all’Università: tanto studio, poca vita sociale. Non ho mai avuto particolari problemi, ma devo anche dire che stavo molto sulle mie e rifuggivo da qualsiasi possibilità di scontro».
In famiglia come hanno preso la sua decisione di cambiare sesso?
«Bene. Mia madre mi ha detto: “Era ora che ti decidessi"».
E suo padre?
«Ho capito che mi aveva completamente accettata quando, dopo qualche mese di cura ormonale mi ha detto: “Sei diventata bella come mia sorella da giovane”. Oggi rivolge a me le classiche raccomandazioni da padre a figlia: “Stai attenta, prendi un taxi se fai tardi la sera, tutto bene con il fidanzato? “».
Quindi ha un fidanzato?
«Sì, da tre anni, una bella storia».
E consapevole di essere stata molto fortunata?
«Si, ho avuto una famiglia fantastica, a partire dalla nonna. Sono figlia unica di due genitori sessantottini, molto attenti alle mie esigenze. Mia madre gestisce un’azienda di trasporti, mio padre è un artigiano della termoplastica, entrambi mi hanno spinto a crescere e a studiare, senza mai entrare in modo aggressivo nelle mie dinamiche intere, pur avendole ben presenti».
E sul lavoro niente discriminazioni?
«No, al contrario, Accenture mi ha aiutato. L’azienda aderisce a programmi volti a valorizzare tutte le differenze e identità di genere, orientamento sessuale, età, religione. Convinti che un buon clima interno favorisca la qualità del lavoro.
Appena ho comunicato che volevo affrontare la transizione di genere, senza attendere la comunicazione del tribunale hanno cambiato mail, credenziali per gli accessi al computer, biglietti da visita. In azienda, per tutti, sono Anna Maria».
Per lo Stato invece è Andrea.
«Ancora per poco, dopo sei anni di attesa il tribunale mi ha appena comunicato di aver accettato tutta la mia documentazione, e quando la sentenza sarà pubblicata, massimo 60 giorni, anche per lo Stato sarò una donna».
I suoi clienti come la trattano?
«Bene, pochi problemi facilmente risolvibili. Sono valutata da loro per quello che so fare, non per come mi presento. Sono brava? Si possono fidare di me ? Risolvo i loro problemi? Bene. Il resto conta poco. E comunque ripeto: molta riservatezza. Molta sobrietà e discrezione nel comportamento, nell’abbigliamento, nel linguaggio. E un po’ di autoironia specialmente nella fase di transizione».
Sobrietà prima di tutto. È contraria al Gay pride?
«No, va benissimo, ma poi nella vita quotidiana credo che gli eccessi non paghino».
Tutto perfetto, la sua sembra una favola. Eppure nel mondo transessuale c’è sofferenza, emergere è difficile, la grande maggioranza vive di prostituzione.
Davvero per lei è stato così facile?
«Ma quale favola! È chiaro che vivere fra Milano, dove sono nata, e Roma, dove lavoro, mi ha facilitato, ma il percorso è stato lungo e faticoso. Non è facile imbottirsi di ormoni e vedere il tuo corpo cambiare. Ti senti sempre stanco, i farmaci mangiano la muscolatura e avviano verso un pericoloso percorso depressivo. Non avresti voglia di alzarti e devi lavorare, affrontare i tuoi clienti con una barba a chiazze, il seno incompiuto, i capelli che crescono troppo lentamente. Due anni durissimi. Ma il confronto più difficile è stato quello con me stessa».
Perché?
«Perché gli altri sapevo come affrontarli. Sono effeminato da sempre, so come difendermi e come non cacciarmi nei guai. Ma guardarsi allo specchio, non essere più Andrea e non ancora Anna Maria è stato doloroso».
Ha conservato qualche vestito da uomo?
«No, un bel giorno mia madre è piombata a Roma, ha svuotato gli armadi e mi ha costretta a rifare completamente il guardaroba. Mi sentivo Pretty woman».
Secondo lei quando è diventa donna anche agli occhi degli altri?
«Quando, grazie alla laser terapia, la mia barba è sparita».
Lei non si è operata. Pensa di affrontare anche la riattribuzione chirurgica del sesso?
«Per il momento no, non mi sento pronta. Essere donna non è una questione di genitali e non si cammina nudi per strada».