la Repubblica, 21 giugno 2019
Tria batte cassa alla Cdp per evitare la procedura
Stavolta Jean-Claude Juncker gigioneggia poco. Poche parole, sufficienti a gettare nel panico Giuseppe Conte, il suo staff, la diplomazia italiana approdata al Consiglio europeo sulle nomine serbando speranze che si infrangeranno sulla realtà. In un attimo il premier si rende conto che evitare la procedura d’infrazione sul debito sarà davvero difficile. C’è un gap di almeno tre miliardi sul 2019, a voler essere ottimisti, per non parlare delle garanzie monstre sul 2020 che neanche si intravedono, altro che sterilizzazione dell’Iva e flat tax in deficit. I numeri e la politica, stavolta, non permettono promesse scritte sulla sabbia, come quelle dell’ultima manovra. A margine della riunione dei 28, Conte si rivolge anche ad Angela Merkel, chiedendole un mano per sminare la procedura. «Ne parlerò con il mio ministro delle Finanze», è la sbrigativa risposta della Cancelliera.
Se si depura la trattativa dalla pretattica, si sbatte in una cifra che racchiude l’attuale distanza tra le due diplomazie: tre miliardi. Il premier si presenta in Belgio sventolando il tesoretto di due miliardi, congelato nell’ultima manovra, che per la Commissione semplicemente non conta: la richiesta dell’Europa era già al netto di quei risparmi. Ci sarebbero i tre miliardi avanzati dopo sei mesi di reddito di cittadinanza e quota 100, ma anche su quelli Bruxelles chiede una clausola che li garantisca, non la promessa di soldi che si libereranno soltanto a fine anno. Tria dovrà fare miracoli per computarli nell’assestamento di bilancio previsto per mercoledì prossimo. E quindi al premier non resta che partire da quel miliardo di extradividendi di Cdp, richiesto in forma straordinaria dal ministro del Tesoro ai vertici della Cassa, con una procedura assolutamente inusuale.
Ecco allora che si arriva al numero che divide Roma e Bruxelles: per trattare un accordo, l’Europa chiede di sommare a questo miliardo ballerino e ai tre dei risparmi futuribili almeno altri tre miliardi reali, immediatamente utilizzabili per ripianare il rosso. Sette miliardi in tutto, rispetto ai nove di partenza. Senza questa base negoziale, Conte non riuscirà nemmeno a ottenere udienza dai vertici continentali.
È sconfitta la strategia del premier italiano. Alla vigilia, aveva valutato con favore un eventuale stallo sulle nomine, una scorciatoia per ottenere qualche giorno in più rispetto all’Ecofin del 9 luglio e chiudere la finestra elettorale di settembre, che tramonta attorno al 20 luglio. Ma si scontra con una realtà diversa. «Prenderemo in considerazione la lettera di Conte – tagliava corto il commissario Ue Pierre Moscovici – ma in questo momento una procedura per debito è giustificata». La Commissione uscente non intende mostrarsi più debole di quella che verrà e non si accontenta di generiche promesse. E ora la road map per evitare la procedura è strettissima: un assestamento di bilancio con concessioni reali all’Ue mercoledì prossimo; il G20 di Osaka di venerdì prossimo per fare il punto con Merkel, Macron e Juncker; il probabile Consiglio europeo straordinario del 1 luglio. Il giorno successivo la Commissione deciderà se chiedere ai ministri di procedere all’Ecofin del 9 luglio. In questi dodici giorni si gioca il futuro del Paese.