la Repubblica, 21 giugno 2019
La grande corsa verso la presidenza europea
Quando apre la porta del salone al terzo piano dell’Europa Building, Giuseppe Conte si ritrova praticamente da solo. E tutti gli altri leader? Impegnati in bilaterali, trilaterali o riunioni di gruppo per decidere le cariche europee. Sono tutti a Bruxelles dalla mattina. Fanno e disfano ipotesi di un accordo che però per mano di Angela Merkel si allontana. Il premier italiano invece arriva giusto per l’avvio dei lavori. Mano a mano che si palesano gli altri, cerca di recuperare terreno facendosi raccontare le puntate precedenti in fugaci chiacchiere a pochi minuti dell’apertura del vertice. Prima con Tsipras, poi con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e via via con Merkel, Bettel, Rutte e infine con Jean-Claude Juncker. Ma cosa è successo nel frattempo?
Nella lunga e soleggiata mattina di Bruxelles la prima mossa la fanno i gruppi parlamentari di Socialisti e Liberali: insieme affondano definitivamente la corsa di Manfred Weber, il portabandiera dei Popolari alle elezioni, l’uomo che avendo vinto le europee dovrebbe succedere a Juncker alla guida della Commissione. Ma Macron non lo vuole e salda un asse con Sanchez e Costa, al quale si aggiungono i Verdi, per frenare il Ppe della Merkel. Con i Liberali che continuano a puntare sulla danese Vestager mentre il centrosinistra non molla l’olandese Timmermans.
L’attenzione politica e mediatica si sposta allora all’Académie Royale, a pochi passi dal palazzo dei sovrani belgi, dove pranzano i leader del Partito popolare europeo. Devono decidere come reagire all’alleanza liberal-socialista guidata dall’asse Macron-Sanchez. Chi era intorno a quel tavolo racconta di un confronto acceso tra chi vorrebbe chiudere subito e chi invece frena. E vince questa seconda cordata, guidata da Merkel. Si narra di una Cancelliera infuriata con Macron, che prima boccia Weber e poi pretende di scegliere chi sarà la personalità del Ppe (Barnier) a succedere a Juncker, se non a imporre la “sua” Vestager. E allora su indicazione della Cancelliera i popolari si impuntano su Weber con un comunicato ufficiale che minaccia il veto contro qualsiasi altro candidato.
«Allunghiamo i tempi, dobbiamo tenere sull’idea che la Commissione spetta a noi popolari per uscire dall’accerchiamento», il ragionamento attribuito a Merkel, che poi si alza da tavola e corre all’Europa Building per incontrare Macron e Tusk. Dunque i popolari restano compatti su Weber, pur sapendo che la sua corsa è finita. «Weber? Come no!», ridacchiava infatti il premier bulgaro Borisov fuori dall’Académie. E a svelare la strategia è il redivivo Silvio Berlusconi: «Il Ppe – confessa – sta cercando altri protagonisti che possano essere votati da tutti».
In corsa resta il francese Michel Barnier, uomo del Ppe apprezzato da tutti e gradito al liberale Macron. Ma i popolari cercano altre figure che non siano pilotate dall’Eliseo, con la pista croata che improvvisamente si infiamma: potrebbero portare alla Commissione il premier Andrej Plankovic, un segnale positivo per l’Est. Ma su di lui pesano ombre nazionaliste. Allora spu nta la biondissima Kolinda Grabar, presidente già famosa per l’abbraccio a Macron sotto la pioggia di Mosca, maglia bagnata della Croazia addosso, dopo la finale mondiale persa contro la Francia.
Eppure anche questi sembrano nomi da bruciare, con Merkel che tiene ancora coperta la carta vincente. Nel pomeriggio circola l’ipotesi sulla fedelissima Ursula Von der Leyen, ministro della Difesa a Berlino. Abbinandola con il liberale belga Michel – amico di Macron – alla guida del Consiglio europeo e un francese (più Lagarde che Villeroy) alla Bce. Sempre che alla fine, nonostante le smentite, la Cancelliera non ceda al pressing degli altri leader e accetti di essere lei a guidare il Consiglio europeo dopo Tusk. A quel punto le altre caselle andrebbero in ordine premiando Socialisti e Liberali.
E così si torna alle tre del pomeriggio, quando Conte varca la porta della sala del vertice e trova i giochi già in corso. Il premier afferma che l’Italia appoggia per la Commissione «chi sarà disposto a ridiscutere le regole europee sui conti». Posizione che fa sorridere gli altri leader e che isola ancora più l’avvocato alle prese con il rischio procedura sul debito e impegnato a evitare l’approdo del falco Weidmann alla Bce. Se alla vigilia del summit Tusk, di sponda con Macron, spingeva per l’accelerazione, ieri doveva frenare: «Ero cautamente ottimista, ora sono più cauto che ottimista». Il pomeriggio vola in discussioni su altri temi e a cena i leader riprendono il negoziato nomine, con Tusk che li spoglia di telefonini e tablet per evitare fughe di notizie. Tuffandosi in un’altra lunga notte di Bruxelles. Se non servirà a chiudere, almeno sarà utile per far cadere un po’ di teste (in ballo ancora una decina di nomi, come la bulgara Georgieva o la lituana Grybaskaute) e consentire ai big di ritrovarsi a margine del G20 di Osaka, venerdì prossimo, per avvicinarsi a un accordo da chiudere in un nuovo vertice Ue il 30 giugno o il primo luglio. Il 2 si insedia il Parlamento europeo e i leader vogliono puntano a un pacchetto che comprenda anche il suo presidente.