il Fatto Quotidiano, 20 giugno 2019
La grande evasione dell’Irpef
Inefficiente e ingiusta: è questa la carta d’id e nt it à che emerge dal settimo rapporto sull’Irpef presentato ieri da Lef, l’associa – zione per la legalità e l’equità fiscale. Lo studio fotografa un sistema impositivo che lascia la porta aperta a un’evasione di massa per almeno 35 miliardi di euro l’anno su un totale di oltre 100, che richiederebbe invece un ingente incremento delle risorse umane impiegate nei controlli. Seppure ancora molto popolare, con i suoi 40 milioni di contribuenti, intere categorie risultano in fuga dalla progressività dell’Ir – pef. La lettura delle dichiarazioni presentate non è solo un esercizio di statistica fiscale, ma anche uno spaccato sociologico della società e dei comportamenti dei cittadini. Perlomeno di quelli che ancora fanno la denuncia dei redditi, anche se non tutti versano quanto denunciato tra una rottamazione, un condono e una cedolare secca. DAL 2003al 2017 la somma degli ammontari noti al fisco nelle quattro categorie di reddito da lavoro autonomo, impresa, da partecipazione e altri redditi è inferiore al solo reddito da pensione. Ed è pari a circa il 38-40% del reddito da lavoro dipendente nel periodo 2003-2007, per attestarsi attorno al 35% nel periodo 2008-2010, oscillare fra il 34% e il 30% nel periodo 2011-2016 e scendere per arrivare al 26% nel 2017, ultimo anno d’imposta disponibile per le statistiche in attesa delle dichiarazioni presentate nel 2019. L’aumento del reddito complessivo denunciato dai circa 655 miliardi di euro ai quasi 824 del 2017, va di pari passo con l’uscita di alcune tipologie di reddito dal campo di applicazione dell’imposta: in particolare i redditi da capitale, gran parte dei redditi immobiliari e una parte dei redditi derivanti dall’esercizio di un’attività economica. Un fenomeno determinato anche dal costante diminuire del numero di soggetti che ufficialmente esercitano attività d’impresa, prevalentemente artigiani e commercianti. Rispetto al 2003 sono il 28,3% in meno. Le tre tipologie di reddito dichiarato, da lavoro autonomo, impresa e partecipazione, invertono il trend e crescono rispetto al Pil nominale e reale con percentuali a due cifre solo nel biennio 2006-2007, quando, annota lo studio, sono stati introdotti sistemi di tracciatura dei trasferimenti economici. Nel 2008 e nel 2009 si verifica una brusca inversione di tendenza in concomitanza con l’abolizione delle norme anti-evasione e di recupero della base imponibile. Si stima che il solo reddito da capitale posseduto dalle persone fisiche e sottoposto a imposta sostitutiva sia pari a circa 10 miliardi nel quinquennio 2011-2017. La somma dei redditi che sfuggono ogni anno alla progressività dell’Irpef arriva a circa 43 miliardi, pari a circa il 5,22% del reddito complessivo dichiarato. Una fuga che non potrà che aggravarsi nel 2019, quando alla contabilizzazione si aggiungeranno i contribuenti che hanno aderito alla nuova Flat tax, stimati in circa 1,1 milioni di partite Iva. Il risultato è che ormai i redditi da lavoro dipendente e da pensione sostengono l’82% del reddito complessivo dichiarato nel regime dei 5 scaglioni e delle 150 detrazioni e deduzioni dell’Irpef. Nella curva della progressività, molto accentuata, i redditi medi sono i più penalizzati. Il peso maggiore dell’Irpef grava sui contribuenti con reddito complessivo compreso fra i 35 mila e i 50 mila euro, che subiscono una pressione media del 24,04%, contro il 19,63% registrato nel 2017 su tutti i dichiaranti Irpef. A tutti vanno aggiunte le addizionali regionali e comunali. Lo studio segnala sempre nel 2017 uno squilibrio a vantaggio dei redditi sopra ai 50 mila euro e una sostanziale concentrazione del prelievo sui redditi medi fra i 20 mila e i 50 mila euro. Il complesso sistema di agevolazioni che coprono a pioggia e spesso in modo casuale tutti i settori di spesa ridisegna la curva delle aliquote formali in effettive. Detrazioni e deduzioni favoriscono solo coloro che possono abbattere in questo modo l’imposta dovuta. Ormai sono oltre 15 milioni i contribuenti che non possono dedurre nulla per incapienza, cioè per mancanza di imposta da pagare. Sono i più poveri e in questo modo vengono doppiamente penalizzati senza che lo Stato possa riconoscere loro il dovuto. Lo studio propone al riguardo l’uovo di colombo già sperimentato nell’America di Obama: l’introduzione di u n’imposta “n eg a ti va” ch e comporta il versamento da parte dell’amministrazione finanziaria dell’importo maturato con le agevolazioni, in tutto o in parte. A ben vedere nel nostro ordinamento esiste già qualcosa di simile. Il credito d’imposta degli 80 euro è sostanzialmente un’e ro gaz io ne diretta di denaro al lavoratore tramite il datore di lavoro. Ma anche il bonus di Renzi perderebbe questa caratteristica se rientrasse nelletax expenditures classiche.
INFINE il contrasto all’evasio – ne. Le tabelle di Lef e i dati dell’Agenzia delle Entrate che comparano l’andamento del Pil con i redditi e l’imposta indicano che i controlli dell’am – ministrazione finanziaria hanno inciso sull’aume nto de ll’adesione spontanea dei contribuenti sottoposti ad accertamento solo nei tre anni successivi e non hanno avuto un effetto di deterrenza sugli altri evasori.