Il Messaggero, 20 giugno 2019
Il dietro le quinte de Traviata. Ultimo capolavoro di Zeffirelli
Gli acuti partono già nei camerini: più i lacci stringono i corpetti, più la voce si fa acuta e tagliente. Quando poi, a trenta gradi, comincia il corpo a corpo con scarpe accollate e stivaletti, anche le comparse riescono a prendere il raro, prezioso e temuto mi bemolle di Violetta.
I PIZZI
Prove generali per la Traviata, con la regia, l’ultima, di Zeffirelli, che inaugura domani la stagione dell’Arena di Verona alla presenza del presidente della Repubblica. Uno spettacolo nello spettacolo, nei cunicoli dell’anfiteatro, con centinaia di protagonisti tra cantanti ed elettricisti, étoile, responsabili del palcoscenico e macchinisti, musicisti e cocchieri, sorveglianti di minori e mimi... Una squadra invisibile che marcia dietro le quinte millenarie, chi in t-shirt, chi in pizzi (e che pizzi firma la sartoria Tirelli), chi con un violino, chi con mille forcine in mano, e trasforma lo spartito di Verdi in vita. E in un mega show in diretta su Rai Uno, raccontato in mondovisione da Antonella Clerici e dal tenore Vittorio Grigolo, impegnato anche lui, per la replica del primo agosto, nel gigantesco cast della produzione kolossal, simbolo del rilancio della Fondazione.
Le coriste sono in fila alla porta 12, per essere ingellate, termine che descrive perfettamente la quantità di gel che serve a rendere eterne le acconciature. «Non mi entra», dice una delle invitate al ballo, avvolta in un tulle vaporoso, sventolando una parrucca, «la testa non cresce e quindi questi capelli non sono i miei». Mentre i ballerini sono in gioielleria, il costumista Maurizio Millenotti che ha trasformato i desideri di Zeffirelli in abiti di scena, passa in rassegna protagonisti e figuranti. Che non finiscono mai. Una spilla qui, un pettine lì, cappelli, fiori: lui non cammina, vola.
I PENNELLI
Conquistato il suo bollino verde sul braccio, si passa da Cristina Oliboni che con le sue truccatrici riesce a cambiare i connotati anche a 300 persone a sera. Nella sua grotta non c’è più posto. Si allestisce un tavolo da lavoro nel corridoio, dove intanto sfilano tromboni e danzatori a torso nudo, rotoli di fili elettrici e fieno per gli artisti equini. Pennelli e rossetti passano di mano in mano come ferri chirurgici. «Nell’Ottocento le bocche erano piccole e rosse», dice, «e i visi pallidi. I lineamenti non vanno più marcati». Gloria, suo braccio destro e sinistro, ne acconcia a ripetizione. «Le dirette tv hanno cambiato tutto», aggiunge, «prima il maquillage doveva essere visto anche dal pubblico in alto sugli spalti. Ora le riprese hanno rivoluzionato tutto. Serve una mano più leggera, cinematografica».
«Pianooooooo». «Le pause, le pause, le pause... Sono musica»: la voce di Daniel Oren dall’arena fa il giro delle gradinate, rimbalza sulle 13.500 poltroncine, rimbomba sin dentro i vestiboli per ritornare ai musicisti che ha di fronte. Il cavallo, in alta uniforme guarda il cocchiere e si blocca sotto la volta del retropalco. Costumisti, parrucchieri e truccatori accelerano, entrano ed escono dalle nicchie che ospitano spogliatoi, sartoria, magazzini. Il tono della voce del Maestro funziona da orologio: sta mettendo a punto alcuni passaggi dell’orchestra, entro breve si va in scena.
Emozionati? «Ma no», risponde il chierichetto Tobia, una decina di anni «è già la sesta volta che recito qui. Ho fatto anche i figlio di Turandot, ma era troppo alta per essere mia mamma». L’altoparlante annuncia il conto alla rovescia. È il momento dei riti. Leo Nucci, Germont, alla sua quarantaduesima stagione in Arena, bacia le foto dei genitori e dei nipotini che porta sempre con sé: «Questo è il regno dei cantanti. Lì fuori è pura magia». L’étoile Giuseppe Picone che ha curato la coreografia del ballo delle Zingarelle e che sarà in scena per la prima, schiocchia le dita. Stefano Trespidi, vicedirettore artistico dell’Arena, scruta dall’alto. Dalle nicchie si riversano tutti fuori, il corteo ora è silenzioso. I corridoi si svuotano, il palco si accende.