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 2019  giugno 20 Giovedì calendario

I mercati possono fare più male della procedura d’infrazione

L’Italia vive un momento particolarmente delicato, a causa di un debito pubblico fuori controllo che ci sta mettendo nei guai con l’Europa. «Il nostro obbligo è di evitare la procedura di infrazione», ha ammonito Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo durante l’evento Obbligati a crescere, per non essere «condannati a essere un paese di serie B». Il vero guaio non sono le eventuali sanzioni contro l’Italia intollerante verso misure correttive degli squilibri, ma l’andamento dei conti pubblici non pià in grado di garantire la sostenibilità del debito pubblico. Un mancato accordo con l’Unione Europea peggiorerebbe infatti la percezione del rischio Italia, dal momento che «siamo riusciti a creare le condizioni per cui il nostro spread è quasi come quello della Grecia» nonostante questo non sia giustificato «dai fondamentali» della nostra economia. Se la direzione di marcia dovesse essere effettivamente questa, rischieremmo di trovarci con premi per il rischio ancora più alti e ancora più volatili.
Va considerato che i livelli attuali dello spread sono già fortemente dannosi, perché siamo un paese che cresce al massimo del 2% nominale ma paga premi per il rischio sovrano del 2,5% sulla scadenza decennale, un punto in più di quello che un paese BBB dovrebbe pagare. Sia chiaro, non è solo colpa del governo in carica, perché «potevano essere gestite meglio le crisi del passato», ha detto ancora Messina. Per essere più espliciti, il prezzo che paghiamo sta trasformando l’Italia nell’unico paese del G20 con un interesse medio sul debito superiore alla crescita del Pil oltre che il paese dell’Eurozona con il costo del debito più alto.
L’AGGRAVIO DEGLI INTERESSI
È un pesante primato che, se non corretto, a regime costerebbe all’Italia 32 miliardi all’anno di spesa per interessi in più di quella che potremmo pagare i relazione ai nostri fondamentali e con una reputazione equivalente a quella del Portogallo. Infine, c’è il rischio downgrade da parte delle agenzie internazionali di rating che provocherebbe l’alleggerimento di titoli italiani nei portafogli degli investitori istituzionali esteri oltre che italiani. Questi sono i motivi per cui la procedura sul debito da parte di Bruxelles va evitata: ma ciò è possibile solo adottando misure credibili che consentano di ripristinare un clima di fiducia verso il nostro Paese.
Tra l’altro, un debito tanto elevato «non aiuta ad accelerare la crescita, anche per questo è necessario ridurlo», ha ricordato Messina. Si tratta di una priorità che però richiede un intervento sistemico sullo stock. Che fare? Da tempo Messina suggerisce una soluzione che coinvolge gli asset immobiliari di proprietà pubblica il cui valore complessivo viene stimato non meno di mille miliardi. «Una parte di essi, in particolari quelli di proprietà di enti locali – è l’idea del banchiere – potrebbe contribuire a dare vita a fondi immobiliari locali dotati di un incentivo fiscale analogo a quello dei Pir». Delineato per la prima volta nel settembre 2018, il piano di Messina è stato riproposto durante l’evento Obbligati a Crescere. In breve, tutto ruota attorno alla valorizzazione di parte del patrimonio immobiliare disponibile di proprietà dei Comuni, il cui valore totale è di circa 215 miliardi. Sarebbe un’occasione propizia di investimento anche per le famiglie italiane «potenzialmente interessate – ha spiegato Messina – a investire in cose che possono toccare e che vedono ogni giorno, con la prospettiva di rendimenti non disprezzabili».
LE CARATTERISTICHE
Da anni infatti si evidenzia l’opportunità di una gestione del patrimonio pubblico orientata all’efficienza, al risparmio e alla valorizzazione. Ma finora i risultati sono stati modesti sia in termini di ricavi che di razionalizzazione degli spazi. Come rimediare? Ci sono varie modalità. Per esempio, ogni singola amministrazione locale potrebbe costituire un Fondo aperto con lo specifico scopo di valorizzare gli immobili di proprietà. Questo Fondo acquisterebbe tali immobili, valorizzandoli e gestendoli in modo efficiente. Per immobili di particolare pregio e magari con localizzazione strategica, attualmente sede di uffici e sportelli della Pa, si possono poi ipotizzare percorsi specifici di valorizzazione. Il collocamento del Fondo – il cui ricavato sarebbe destinato a ridurre il debito complessivo – farebbe infine partecipi i cittadini del destino di quegli immobili. Si potrebbe inoltre dare luogo a più tranche della stessa emissione per consentire acquisti progressivi degli immobili, mentre i cittadini-investitori verrebbero incentivati all’acquisto di quote del Fondo con esenzioni fiscali.
Di fronte a una simile proposta, i mercati finanziari percepirebbero l’avvio di un sentiero di rientro virtuoso del debito pubblico e sconterebbero il minor rischio accontentandosi di una redditività meno esasperata; si realizzerebbe anche uno stimolo all’economia indotto dalla crescita degli investimenti locali, con un particolare beneficio per il settore dell’edilizia.
Secondo proiezioni prudenziali e in regime di collaborazione con gli enti territoriali, con il piano Messina è possibile ipotizzare nei primi 5 anni incassi per 100 miliardi, che potrebbero ridurre in maniera significativa l’indebitamento degli stessi enti: uno shock per i mercati e per lo spread, che per il solo effetto-annuncio potrebbe perdere in poche battute anche 100 punti base, riportando il costo del debito italiano entro ambiti di gran lunga meno punitivi.