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 2019  giugno 20 Giovedì calendario

Toti cederà alla corte del Cav?

Alzi la mano chi aveva creduto che avrebbe abbandonato la casa madre per fondare un partito in grado di svuotare Forza Italia e occupare il centro moderato. Forse neppure lui, Giovanni Toti da Mediaset, a lungo delizia e recentemente croce del Cavaliere di Arcore, che lo ebbe come direttore di ben due tiggì di Cologno, issandolo sulle poltrone che furono dei fedelissimi Liguori e Fede, e ne fu così soddisfatto da lanciarlo nell’agone politico. Il presidente di tutto o quasi e il governatore della Liguria se le sono date di santa ragione negli ultimi tempi, ma con le gambe sotto il tavolo ogni cosa diventa più facile. Così ieri Berlusconi ha invitato il figliol prodigo a pranzo a Palazzo Grazioli, per fare la pace, ed è andata bene, seppure l’ex direttore dice di non avere ancora ceduto definitivamente alla corte di Silvio. Toti doveva essere uno dei tanti delfini, anche se il suo soprannome è orso Yoghi, per le dimensioni da plantigrado oversize. Da buon delfino, od orso che sia, ha dimostrato di saper nuotare bene nei mari della politica. Nei momenti di massimo attrito, Berlusconi lo ha accusato di essere un nominato, ma non è proprio così. Alle Europee del 2013 egli fece il pieno di preferenze (150mila) e subito dimostrò di voler giocare la partita da solo. Poiché si era dimostrato bravo e desideroso di autonomia, Forza Italia, come è uso della casa, cercò di deviarlo su un binario morto, candidandolo come presidente della Liguria, nel 2015, una stampella lanciata contro i grillini in una Regione da sempre rossa. Toti a sorpresa vinse e cominciò a staccarsi sempre più, naturalmente solo a parole, dal suo antico datore di stipendio e di seggio. Era più facile incontrarlo alle feste della Lega o di Fratelli d’Italia che ad Arcore. Ci sono in giro più foto recenti di lui con Salvini, Zaia, Fontana o la Meloni che con Berlusconi o Tajani. IL RADUNO Lo avevamo lasciato fresco depositante del simbolo «Italia in crescita», freccia tricolore in campo azzurro, preludio di una nuova formazione politica che, ufficialmente, Il presidente della Liguria dovrebbe lanciare il prossimo 6 luglio a Roma al teatro Brancaccio, sventurato luogo dove si trovò la sinistra anti-renziana e scissionista poi uscita massacrata dalle urne. Le cronache raccontano che giusto 48 ore fa Berlusconi avrebbe ribadito ai suoi di non rivolgergli più la parola, dopo averlo messo da tempo in testa alla lista del suo libro nero dei traditori. Comprensibile. Di facile eloquio e lucido nell’analisi, da mesi il governatore non faceva che affondare la lama nelle ferite di Forza Italia, denunciandone l’immobilismo dei vertici e pronosticandone la fine salvo inversioni di rotta. Dice cose condivise nel partito, ma lui era il solo ad affermarle a ogni occasione, e scegliendo per farlo i palchi degli alleati rivali, Lega e Fdi. Toti si è spinto molto in là, tanto che sembrava inevitabile che la mossa successiva sarebbe stata il distacco e la creazione di un gruppo personale, da attaccare poi a Salvini o alla Meloni. Però il governatore non è un fesso, e il passo definitivo di lasciare la casa madre non l’ha mai fatto, come del resto Berlusconi, pur stramaledicendolo in privato ancora più che in pubblico, non l’ha mai cacciato. Hanno avuto ragione entrambi, l’ecumenico Silvio, esperto nel rappattumare, e l’inquieto Giovanni, professionista del far carriera. Con ogni probabilità finirà a tarallucci e vino, con Toti, ieri incaricato con la Carfagna di riscrivere lo statuto per il rilancio del partito e prossimamente nominato con l’ex ministra coordinatore, in attesa di un congresso con tanto di primarie ed elezione dei coordinatori regionali, che parlando di Forza Italia pare fantapolitica. Il governatore non ha detto sì, pretende garanzie concrete di cambiamento, ma è tentato dalla corte di Silvio. SCOPPIA LA PACE? Quanto il rapporto personale tra Berlusconi e la sua creatura politica, che lo seguiva perfino nei weekend sul Garda per rimettersi in forma, si sia davvero rotto non è dato sapere. Le ragioni della rappacificazione invece sono chiare a tutti. Forza Italia è malconcia e non può permettersi una scissione. A un malato grave anche un raffreddore può essere fatale. Toti si è fatto due calcoli, con i fantasmi di Alfano e Parisi sul tavolo. Lo spazio al centro è più virtuale che reale, e poi ha tanti pretendenti, tutti accreditati tra l’1,5% e il 2. Le scissioni uccidono chi le fa più che chi le subisce, Salvini è troppo forte per farci affidamento e, per diventare un pretoriano della Meloni, tanto vale restare un portabandiera di Arcore. Così il governatore per ora è rimasto a casa, incassando un credito di fiducia. Ha pesato più la minaccia di andarsene che il contenuto delle sue critiche. Con questa mossa Berlusconi dà una verniciata, fa contenta la Lega, si tiene il Sud e non esautora Tajani. Il dubbio però resta il solito: è un tentativo di restauro o di cambiamento?