La Stampa, 20 giugno 2019
Le ultime novità sul Boeing 777 della Malaysia Airlines che fu abbattuto nel 2014. Di mezzo anche gli 007 russi
Si stringe il cerchio attorno al Cremlino. Gli investigatori internazionali hanno accusato quattro persone per la terribile tragedia aerea del 17 luglio del 2014, quando un Boeing 777 della Malaysia Airlines fu abbattuto mentre sorvolava il Donbass in guerra. Tre degli incriminati sono cittadini russi e soprattutto – assicurano gli inquirenti – sono o sono stati agenti dell’intelligence di Mosca. Se a ciò si aggiunge che a provocare la carneficina pare sia stato un missile di fabbricazione russa in dotazione a una brigata antiaerea delle forze armate del Cremlino, il quadro appare ancora più nitido.
La colpa dei quattro accusati sarebbe stata proprio questa: aver portato dalla Russia al Sud-Est ucraino il sistema missilistico che ha fatto strage di innocenti.
A bordo dell’aereo di linea decollato da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur c’erano 298 persone, per lo più turisti olandesi e australiani in partenza per le vacanze. Nessuno di loro si salvò.
Il più importante dei quattro individui incriminati è un personaggio tristemente noto: si tratta di Igor Strelkov, l’ex comandante delle milizie separatiste del Donbass. Strelkov, il cui vero nome è Igor Girkin, ufficialmente era «solo» il ministro della Difesa dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk. Di fatto era però l’anello di collegamento tra il Cremlino e i ribelli filorussi. Diverse fonti lo indicano come un ex colonnello dell’intelligence militare (Gru) o dei servizi segreti interni russi (Fsb). Poco dopo la strage, Strelkov annunciò orgoglioso sui social media che i suoi uomini avevano colpito un aereo militare ucraino, un An-26. Poi cancellò il post. Un indizio che fa ipotizzare che i ribelli abbiano abbattuto il Boeing convinti che fosse un jet nemico. Strelkov ha 48 anni e ora vive in Russia, fa sfoggio di nazionalismo e ogni tanto lancia qualche frecciatina a Putin. Anche perché dicono che sia caduto in disgrazia agli occhi del Cremlino.
Gli investigatori del Joint Investigation Team (Jit) a guida olandese puntano il dito anche contro uno dei vice di Strelkov: Sergey Dubinsky, detto Khmury («il tetro»), un uomo dei servizi di Mosca. E anche contro Oleg Pulatov, detto Gyurza (il nome di un serpente velenoso): un ex spetsnaz dell’intelligence militare russa che a Donetsk era il numero due degli 007 ribelli. Il quarto accusato, il più basso in grado, è un cittadino ucraino: Leonid Kharchenko, che comandava un’unità dei miliziani separatisti. L’elenco potrebbe però essere destinato ad allungarsi e la testata investigativa Bellingcat fa già i nomi di altri presunti colpevoli.
Il Jit – di cui fanno parte olandesi, belgi, australiani, malesi e ucraini – ha presentato i risultati del proprio lavoro in una conferenza stampa a Nieuwegein, nei Paesi Bassi. Le autorità olandesi hanno annunciato di aver spiccato dei mandati d’arresto e che il processo dovrebbe partire il 9 marzo del prossimo anno. Il presidente dell’associazione delle vittime del disastro, Piet Ploeg, ha espresso soddisfazione per le rivelazioni degli inquirenti: «Dopo cinque anni – ha detto – viene fatta giustizia, e questo è molto importante per i familiari e gli amici di chi ha perso la vita».
Le difficoltà però non mancano. La Russia respinge infatti al mittente tutte le imputazioni che le vengono rivolte e ha definito «assolutamente infondate» le accuse di un coinvolgimento dei propri 007 nella strage. È quindi improbabile che il Cremlino consegni all’Olanda le persone incriminate. E del resto gli olandesi non ne chiederanno neanche l’estradizione poiché sia Mosca sia Kiev proibiscono per legge questa procedura nei confronti dei propri cittadini.
Gli investigatori già l’anno scorso avevano rivelato che il Boeing malese era stato abbattuto da un razzo Buk di fabbricazione russa in dotazione alla 53esima brigata missilistica di Kursk, in Russia occidentale. Il lanciamissili da cui pare sia partito il razzo è stato individuato in territorio ucraino nel giorno della tragedia. Poi ha fatto dietrofront ed è tornato alla base.
Foto, video, immagini satellitari: tutte le prove raccolte finora puntano a Mosca. Ma per la Russia ammettere le proprie responsabilità equivarrebbe a confermare il sostegno militare ai separatisti che nega caparbiamente da tempo nonostante l’evidenza e per il quale è da anni sotto sanzioni di Usa e Ue.
Il procuratore Fred Westerbeke ha affermato di voler «conoscere la catena di comando che ha reso il missile Buk disponibile» per i ribelli. Risalendola si potrebbe arrivare molto in alto.