la Repubblica, 20 giugno 2019
Art Basel, la fiera dell’arte più prestigiosa è diventata noiosa
Molte persone erroneamente pensano che la Fiera dell’Arte di Basilea, Art Basel, che si è chiusa domenica, sia una mostra come la Biennale di Venezia. La confusione potrebbe essere legittima. Basilea è un evento fondato sul mercato dell’arte che sempre di più, con molti progetti paralleli, prova a darsi una veste meno cinica e culturalmente elevata. La Biennale, anche se prima del 1968 aveva un ufficio vendite, è in teoria una mostra dove il mercato è bandito e visto come una delle forme del male assoluto. In teoria. In realtà poi, dietro le quinte, ai tavolini dei caffè o nei bar degli hotel di lusso, galleristi e collezionisti comprano e vendono alcune, se non tutte, delle opere in mostra ai Giardini o all’Arsenale.
Quest’anno, però, la fiera d’arte e la storia della Biennale si sfioravano. A Basilea, infatti, un’opera ricordava molto un lavoro di Gino De Dominicis del 1972, presentato alla XXXVI edizione della Biennale di Venezia, nel padiglione che a quel tempo si chiamava “Italia”. L’opera in questione è dell’artista albanese del Kosovo Sislej Xhafa, che vive a New York, e s’intitola
Ovoid solitude, presentato nella sezione della fiera chiamata Unlimited. Qui le gallerie hanno presentato opere di singoli artisti di solito di dimensioni improponibili. Non fa eccezione l’opera di Xhafa. Il lavoro di De Dominicis che citavo s’intitolava Seconda soluzione d’immortalità (l’universo è immobile).
Ma che cosa hanno in comune queste due opere? Entrambe mettono in mostra una persona. De Dominicis il signor Paolo Rosa che osservava tre oggetti sul pavimento. Xhafa il signor Raul Portillo Samá che vende uova. L’opera di De Dominicis creò uno scandalo. Paolo Rosa era affetto da sindrome di down. La cosa portò alla chiusura della sala, l’artista fu accusato di sottrazione d’incapace e poi assolto l’anno successivo. Il signor Portillo Samá non sembrava affetto da nessuna sindrome. È stato fatto venire in totale libertà da Cuba dove apparentemente anche lì vende uova da un’apertura tagliata in una saracinesca di un piccolo negozio simile a quella che era stata ricostruita a Basilea. A differenza di De Dominicis, non c’è scandalo, non ci sono azioni legali in vista. C’è però solo molto cinismo e molto disinteresse sia da parte del pubblico sia da parte del soggetto: l’elegante signore che osservava e parlava abbastanza annoiato con i pochi spettatori che gli facevano domande. Non so a quanto l’opera venisse venduta. La galleria ci teneva comunque a specificare, per chi fosse interessato, che la dimensione della saracinesca può variare nel caso non si abbia lo spazio necessario. Il signor Portillo Somá, grazie a Dio, non è in vendita e presto potrà tornare a Cuba, dove probabilmente guadagnerà o avrà guadagnato nella sua vita una frazione del valore dell’opera. Le dimensioni variabili della saracinesca e del numero delle uova fanno sorridere. Pensate se Michelangelo, alle prese con il David, avesse detto al committente che avrebbe potuto realizzare una versione con le gambe più corte, se i soffitti di casa non fossero stati abbastanza alti. Ma il bello di certa arte contemporanea è anche questa sua adattabilità ai gusti e alle esigenze di chi compra. Xhafa, nel comunicato stampa, dichiara che l’opera è un ricordo visivo che diventa un monumento. A che cosa? Al signore che sta dentro il buco nella lamiera? Alle uova? Alla saracinesca stessa? Al cinismo e all’indifferenza? Nel 1972 De Dominicis creava un cortocircuito fra il pubblico e il suo, per quanto scandaloso, lavoro. Al tempo stesso faceva riflettere, imbestialire, scandalizzare lo spettatore. L’opera di Xhafa è offensiva semplicemente perché lascia indifferenti, anzi crea indifferenza. Che forse è la condizione più comune in cui viviamo adesso. In questo senso è molto contemporanea. Ma l’arte non dovrebbe mai lasciarci indifferenti. L’indifferenza o la distrazione possono trasformare tutto in arte, compreso il bambino che, sempre a Basilea, lasciato incustodito dalla mamma, che magari stava comprando delle uova dall’opera Xhafa, ha rotto la costosa scultura di un’artista tedesca. Sarebbe bastato che il piccolo dopo la marachella avesse detto: «Questo è vandalismo: Tino Sehgal 2019» e la madre non avrebbe dovuto pagare i danni (Tino Sehgal è un artista che crea “situazioni"). Per fortuna ci sono ancora artisti che sanno combattere indifferenza e distrazione anche in pochi minuti. Proprio accanto all’enorme saracinesca – tutto è enorme ad Unlimited – c’era una grandissima proiezione di Mircea Cantor, artista romeno che vive a Parigi. Nel video si vedeva una bellissima aquila al servizio della polizia olandese addestrata a catturare e distruggere i droni illegali. Il video dura tre minuti, quanto una pubblicità in tv. Ma come la pubblicità in poco tempo dice molto. La natura che torna per difendere l’essere umano dagli abusi della tecnologia. Un tema semplice, profondo raccontato con i mezzi di oggi ma in modo poetico, senza tempo. Sarebbe bello poter addestrare le aquile a difenderci dagli abusi dell’arte. E questo potrebbe essere il titolo di un film di Werner Herzog.