Corriere della Sera, 20 giugno 2019
Warrior, la nuova serie firmata Bruce Lee
L’ultimo colpo di Bruce Lee è una serie tv che vuole mescolare l’azione tipica dei kung fu movie con la denuncia sociale, in questo caso il razzismo contro i cinesi alla fine dell’Ottocento. Perché passano le epoche ma i muri rimangono, al massimo cambiano i nemici da confinare a casa loro: l’accusa è che rubano il lavoro agli americani, a dimostrazione che la fantasia populista alla fine batte sempre sugli stessi argomenti.
Il profeta delle arti marziali è morto 55 anni fa, ma le sue idee sono ancora lì, custodite nell’archivio di cui si è fatta carico sua figlia Shannon, produttrice esecutiva di Warrior, la serie che racconta il mondo marcio di San Francisco al tempo delle «tong wars», gli scontri tra famiglie criminali che erano la regola nelle varie Chinatown che attecchivano negli Stati Uniti. Queste bande di spietati avevano anche un nemico comune però: la polizia e una working class di bianchi apertamente razzista, che si sentiva minacciata dalla presenza dei cinesi immigrati.
«Mio padre è morto quando avevo 4 anni – spiega Shannon Lee (50 anni) —, crescendo sono venuta a conoscere i dettagli della sua storia: non era stato scelto per una serie televisiva di cui aveva scritto anche il trattamento, non lo volevano perché non pensavano che un cinese potesse essere il protagonista di uno show televisivo americano. Nacque Kung Fu e per interpretarla scelsero David Carradine». Era il 1972 e il network Abc voleva un attore più alto e dall’inglese perfetto rispetto a Bruce Lee.
Ora la figlia Shannon ha condiviso con il produttore esecutivo Justin Lin (regista di tutti gli ultimi e dei prossimi Fast & Furious) gli scritti del padre per «onorare quell’idea, onorare la sua eredità, arricchire quella storia nel miglior modo possibile». Ne sono usciti 10 episodi da un’ora che raccontano la storia di Ah Sahm, un prodigio nelle arti marziali che arriva a San Francisco dalla Cina in circostanze misteriose e diventa l’uomo di fiducia di una delle «tong» più potenti di Chinatown, le famiglia cinesi il cui know how era il crimine organizzato. Il primo episodio di Warrior sarà proiettato in anteprima domenica alle 13 a Milano a Fuoricinema Fuoriserie (al via oggi), mentre la stagione intera arriverà dal 15 luglio alle 21.15 su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv.
I primi passi per rendere possibile il sogno custodito di Bruce Lee arrivarono agli inizi del 2000, quando la figlia prese in consegna i lasciti di suo padre, unica erede dopo la morte di suo fratello Brandon, ucciso in un incidente sul set del Corvo nel 1993: «Quando l’archivio è entrato in mio possesso, ho avuto accesso a tutti gli scritti, le foto e i cimeli di mio padre. Tra le tante cose, mi sono imbattuta nel trattamento di questa serie». Otto pagine scritte da Bruce Lee di suo pugno. Da lì l’idea di dargli forma.
Ne è uscito un progetto che mescola l’epica guerriera delle arti marziali e il dramma sociale d’epoca: «Mio padre aveva una precisa idea sull’intrattenimento: non solo azione fine a se stessa, ma anche coinvolgimento emotivo. Voleva che questo personaggio fosse un immigrato, che arrivasse negli Stati Uniti in questo specifico periodo – il periodo dopo la Guerra di secessione americana e prima del Chinese Exclusion Act del 1882, che vietava l’immigrazione di lavoratori cinesi: era l’epoca in cui finiva la corsa all’oro, i cinesi erano negli Stati Uniti e c’era molta tensione sociale nell’aria. Per mio padre era un obiettivo primario che qualcosa dell’autentica esperienza cinese si riflettesse a Hollywood e nel mondo. Quindi tutti i suoi progetti avevano sempre un sapore che andava in quella direzione. Era molto determinato nel dire “questa è la mia esperienza e la vera esperienza delle persone asiatiche”».
Per Shannon Lee è anche una rivincita essere produttrice esecutiva, perché significa essere parte del progetto: «Spesso la gente vuole prendere la sua eredità e farne ciò che vuole, le persone lo trattano come una merce, ma quello è mio padre».