https://www.lettera43.it/vendita-fca-news-marchionne/, 20 giugno 2019
La Fca creata da Marchionne è in affanno e va venduta
La lettura degli articoli e dei commenti sulla saga Fca-Elkann-Renault-governo francese-Nissan insinua un singolare interrogativo. È chiaro o no che John Elkann è determinato a sbolognare Fca e uscire dal pericoloso business dell’auto mettendo la parola fine a una storia che ebbe avvio l’11 luglio 1899? Sia chiaro, un business pericoloso per una famiglia, la sua, storicamente parca nel mettere mano nelle proprie tasche per investire nell’industria metalmeccanica mentre è stata molto sovente pronta a donare alle casse pubbliche frutti spesso marci a causa di gestioni inette.
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IL SALVATAGGIO FIAT E CHRYSLER È UNA FAKE NEWS
Il lungamente stanziale e sedentario manipolo di giornalisti stranieri distribuiti tra Milano e Roma non solo ha sistemato in soffitta l’un tempo celebrato investigative journalism (in particolare quello di stampo anglosassone), ma sembra abbia decisamente optato per la beatificazione del civettuolamente autoproclamato «metalmeccanico» italo-canadese. Per ironia della sorte, questo processo avviene mentre è chiaro e lampante che, dopo una decade e mezzo di gestione Marchionne, il gruppo anglo-olandese non è in grado di camminare con le proprie gambe e dunque il favoleggiato doppio salvataggio di Fiat e Chrysler è una fake news.
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LE DEBOLEZZE DEL GRUPPO
La transazione è inevitabile. Fca continua a perdere progressivamente e inesorabilmente quote di mercato. Ma c’è di più: è priva di tecnologie per competere sia nell’elettrico e sia nell’ibrido. D’altro canto, l’accoppiata management-azionisti ha una malcelata allergia agli investimenti. Insomma, l’esatto contrario di quello che hanno fatto i big dell’automotive (tedeschi in testa) che non hanno esitato a ricorrere ad aumenti di capitale allo scopo di mantenere competitive le loro società.
L’ad di Fca Mike Manley.
UNA “HOUSE OF BRAND” CHE NON DECOLLA
«Fiat Chrysler Automobiles è una ‘house of brands‘, una casa di marchi, e questo le permetterà di essere uno dei pochi costruttori tradizionali in grado di sopravvivere alla rivoluzione tecnologica che sta attraversando il settore auto. Ne sono certo, al 100%». Così parlò l’amministratore delegato Mike Manley in un’intervista congiunta con il direttore finanziario Richard Palmer rilasciata a Bloomberg in occasione dell’uscita del libro Sergio Marchionne di Tommaso Ebhardt, edito da Sperling & Kupfer.
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Già, ma quale scelta offrono i numerosi marchi di Fca? Fiat si regge su modelli stagionati: la famiglia 500 e la Panda; Alfa Romeo: una scuderia scarna e caratterizzata dal fiato corto; Lancia: doppiamente single, un solo prodotto, la Ypsilon, venduto in un solo mercato, l’Italia, che per cause soprannaturali continua a incrementare le vendite; Maserati: altra scuderia scarna con modelli stagionati e quello meno vecchio acquistato da una sempre più ristretta cerchia di clienti; Fiat Professional: il marchio dei furgoni, assediati da vivaci concorrenti; Abarth e Srt: rare versioni sportive; Chrysler: altra scuderia scarna con un modello, la 300, che risale ai tempi di Daimler mentre il minivan Pacifica è essenzialmente un brand monocliente, Waymo; Dodge: solo modelli dell’era Zetsche-Daimler; Mopar, ovvero Fiat Ricambi. Infine, Jeep: l’unico brand beneficiato da investimenti che sembra avere già toccato l’apice delle vendite; e Ram Trucks: i pickup amati dagli americani e basta.
L’ad Fca Mike Manley con John Elkann.
I FRUTTI AMARI DELLA GESTIONE MARCHIONNE
In altre parole, chi acquisisce Fca dovrà investire una quantità industriale di euro e dollari per rinnovare quasi completamente la gamma prodotti. E c’è chi non nasconde perplessità: vale la pena? Dopotutto, molti dei brand di Fca sono sbiaditi a livello internazionale. Ecco dove ha portato la gestione di Sergio Marchionne. Amara e inquietante verità. Con buona pace dei fan(atici) della beatificazione.