Corriere della Sera, 20 giugno 2019
Paul Donovan, capoeconomista della Ubs, licenziato per una battuta sui maiali che non è piaciuta a Pechino (ma è molto carina)
La febbre suina, o peste suina, sta devastando l’industria alimentare in Cina; costringe ad abbattere milioni di animali infetti; fa salire il prezzo della carne e fa correre l’inflazione a Pechino. Non è contagiosa per l’uomo. Ma ora c’è la prima vittima umana. È Paul Donovan, autorevole global chief economist della Ubs, la più grande banca svizzera. Il dottor Donovan ha scritto un rapporto sull’impatto del virus sui mercati e per uscire dall’aridità dei dati macroeconomici ha pensato di usare un pizzico di British humour. Che è costato il posto a lui e una quantità di milioni di dollari alla banca. Ecco la frase incriminata: «I prezzi al consumo in Cina sono saliti, soprattutto a causa della malattia dei suini. Quanto è importante questa situazione? Importa se sei un maiale cinese. E importa se ti piace mangiare carne di porco in Cina. Non importa davvero al resto del mondo».
Il gioco di parole «It matters if you are a Chinese pig», godibile in inglese, è stato tradotto letteralmente in mandarino e quel «se sei un maiale cinese», rimbalzato sui social network della Repubblica popolare, non ha fatto ridere nessuno, è stato preso per un insulto. «Dire maiale cinese è espressione di razzismo e cattivo gusto», ha scritto la stampa di Pechino. È partita la campagna dello sdegno nazionale. L’hashtag «Fuori Ubs dal nostro territorio» ha cominciato a correre sul web. Il Quotidiano del Popolo ha stigmatizzato: «Chi insulta il popolo cinese deve pagare». Inutile scusarsi, inutile spiegare che Donovan magari è stato colpevole solo di supponenza nei confronti dei suini nati in Cina e insensibile di fronte al danno e anche al dolore di migliaia di allevatori che hanno dovuto abbattere i loro animali contagiati dalla febbre.
La Ubs ha cercato di uscire dall’assedio: ha chiesto umilmente scusa e poi ha offerto la testa del suo capo economista globale, congedandolo dopo 26 anni di onorata carriera. Ma non è servito. Haitong Securities di Hong Kong ha deciso di sospendere i rapporti finanziari con gli svizzeri; a seguire China Railway Construction Corp, gigante ferroviario, ha cancellato l’accordo con Ubs per il collocamento di buoni garantiti dallo Stato per un miliardo di dollari.
Il rischio di boicottaggio ha gettato nel panico la banca di Basilea, perché Ubs punta forte sul mercato cinese e l’anno scorso era diventato il primo istituto finanziario straniero ad ottenere l’approvazione di Pechino per acquisire la maggioranza di controllo nella sua joint venture cinese nel campo della gestione titoli.
Questa vicenda del «maiale cinese», che ha sullo sfondo la storica difficoltà di comunicazione culturale tra Occidente e Impero di Mezzo, ricorda il caso Dolce & Gabbana. E ricorda anche quanto sia facile a Pechino che una «manina» lanci una campagna per distruggere l’immagine di un grande attore del business.
Ma oltre a prendere atto che i maiali sono entrati in uno dei templi della finanza globale come Ubs e che la peste ha colpito l’economista Donovan, non possiamo dimenticare che dallo scorso agosto la febbre suina arrivata dall’Africa sta infuriando in Cina. Sono stati individuati oltre 120 focolai di contagio, alcuni in allevamenti con 100 mila animali. Tra maiali uccisi dal virus e abbattuti per cercare di circoscriverlo, quest’anno la Cina perderà 200 milioni di capi, un terzo della sua popolazione suina. Sarà necessario importare carne, ci sarà un impatto sul mercato mondiale (e in questo Donovan probabilmente sottovalutava il problema). Per farsi un’idea della gravità della situazione, bisogna pensare che 200 milioni di maiali morti per la febbre o abbattuti sono più o meno l’intera produzione annuale di Europa e Stati Uniti. Anche se noi probabilmente non ce la prenderemmo se un economista li definisse maiali europei e americani.