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 2019  giugno 20 Giovedì calendario

Il magistrati del Nord condanno il Csm

La frase ha un valore catartico per molti dei magistrati presenti al convegno intitolato al collega Walter Mapelli, morto di recente dopo una lunga malattia. «È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana», dice il Procuratore di Milano Francesco Greco il quale, ricordando commosso il collega, sembra rimarcare la differenza tra chi lavora lontano dai centri del potere romano, politico e giudiziario, e chi è costretto suo malgrado o, peggio, si acconcia a fare i conti con essi per convenienza personale, come sembra emergere dall’inchiesta che sta squassando il Csm travolgendo l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.
La voce di Greco si incrina più volte mentre parla del procuratore della Repubblica di Bergamo scomparso l’8 aprile scorso a 60 anni, che svolse con lui l’uditorato all’inizio della carriera negli anni 80. L’affollata aula magna del Palazzo di giustizia di Milano è la stessa in cui, quando deflagrò l’inchiesta sulle toghe romane, l’Anm locale approvò all’unanimità un severo documento in cui si chiedevano le dimissioni dei componenti del Csm coinvolti in una vicenda di «inaudita gravità» che ha fatto «emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura».
Come Greco, anche Walter Mapelli prediligeva le indagini sui reati economici e finanziari, più volte si confrontava con il Procuratore di Milano su questi argomenti. Nonostante fosse riconosciuto come un ottimo investigatore ed organizzatore, ha dovuto attendere non poco prima di ottenere la nomina a Procuratore. «Abbiamo vissuto la stessa situazione di umiliazione per avere lavorato per tutelare l’economia sana, ma queste non erano cose utili per ottenere un incarico direttivo», dice Greco prima di pronunciare la frase con cui prende le distanze dalle vicende romane. Esse rappresentano un mondo che «abbiamo dovuto conoscere, apprendere nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati», aggiunge. Lui e molti altri ritenevano che bastasse aver fatto il proprio dovere per presentare domanda al Csm: «Ci chiedevamo “in fondo noi abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande” e invece poi capisci che le logiche sono altre». Le cose, riconosce il magistrato, alla fine «sono andate bene», visto che sia lui che Mapelli sono stati nominati Procuratori, ma l’amico scomparso «questo tipo di esperienza non la meritava».
L’affermazione sulle vicende romane in serata suscita qualche disappunto di chi, tra i magistrati, ritiene che sia inopportuno fare distinzioni «territoriali» nella categoria. «Il mio pensiero è stato caricato di un significato che non ha», precisa Greco, che ha origini napoletane e ha vissuto a Roma. «Il termine Nord aveva un mero valore metaforico, ciò che mi premeva sottolineare era il disinteresse spesso mostrato nella valutazione dell’impegno professionale dei magistrati. E questo vale per tutti i magistrati italiani che oggi giustamente si ritengono danneggiati da ciò che è emerso».
Giuseppe Guastella
© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Giuseppe Guastella
Giuseppe Guastella
Il ricordo è per il procuratore Walter Mapelli, scomparso nell’aprile scorso. Ma le parole del procuratore di Milano, Francesco Greco, sono rivolte al caso Csm: «È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana».
milano La frase ha un valore catartico per molti dei magistrati presenti al convegno intitolato al collega Walter Mapelli, morto di recente dopo una lunga malattia. «È un mondo che non ci appartiene, che non appartiene soprattutto ai magistrati del Nord e che vive negli alberghi e nelle retrovie della burocrazia romana», dice il Procuratore di Milano Francesco Greco il quale, ricordando commosso il collega, sembra rimarcare la differenza tra chi lavora lontano dai centri del potere romano, politico e giudiziario, e chi è costretto suo malgrado o, peggio, si acconcia a fare i conti con essi per convenienza personale, come sembra emergere dall’inchiesta che sta squassando il Csm travolgendo l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.
La voce di Greco si incrina più volte mentre parla del procuratore della Repubblica di Bergamo scomparso l’8 aprile scorso a 60 anni, che svolse con lui l’uditorato all’inizio della carriera negli anni 80. L’affollata aula magna del Palazzo di giustizia di Milano è la stessa in cui, quando deflagrò l’inchiesta sulle toghe romane, l’Anm locale approvò all’unanimità un severo documento in cui si chiedevano le dimissioni dei componenti del Csm coinvolti in una vicenda di «inaudita gravità» che ha fatto «emergere l’esistenza di una questione morale nella magistratura».
Come Greco, anche Walter Mapelli prediligeva le indagini sui reati economici e finanziari, più volte si confrontava con il Procuratore di Milano su questi argomenti. Nonostante fosse riconosciuto come un ottimo investigatore ed organizzatore, ha dovuto attendere non poco prima di ottenere la nomina a Procuratore. «Abbiamo vissuto la stessa situazione di umiliazione per avere lavorato per tutelare l’economia sana, ma queste non erano cose utili per ottenere un incarico direttivo», dice Greco prima di pronunciare la frase con cui prende le distanze dalle vicende romane. Esse rappresentano un mondo che «abbiamo dovuto conoscere, apprendere nelle sue logiche di funzionamento e che ci ha lasciati sconcertati e umiliati», aggiunge. Lui e molti altri ritenevano che bastasse aver fatto il proprio dovere per presentare domanda al Csm: «Ci chiedevamo “in fondo noi abbiamo lavorato come tanti magistrati, riteniamo che per anzianità, per meriti, per alcuni risultati ottenuti e per le nostre potenzialità ancora inespresse possiamo fare questo tipo di domande” e invece poi capisci che le logiche sono altre». Le cose, riconosce il magistrato, alla fine «sono andate bene», visto che sia lui che Mapelli sono stati nominati Procuratori, ma l’amico scomparso «questo tipo di esperienza non la meritava».
L’affermazione sulle vicende romane in serata suscita qualche disappunto di chi, tra i magistrati, ritiene che sia inopportuno fare distinzioni «territoriali» nella categoria. «Il mio pensiero è stato caricato di un significato che non ha», precisa Greco, che ha origini napoletane e ha vissuto a Roma. «Il termine Nord aveva un mero valore metaforico, ciò che mi premeva sottolineare era il disinteresse spesso mostrato nella valutazione dell’impegno professionale dei magistrati. E questo vale per tutti i magistrati italiani che oggi giustamente si ritengono danneggiati da ciò che è emerso».