20 giugno 2019
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Biografia di Michel Platini
Michel Platini (Michel François P.), nato a Joeuf (Francia) il 21 giugno 1955 (64 anni). Dirigente sportivo. Già presidente della Uefa (2007-2015). Ex allenatore di calcio. Già tecnico della Nazionale francese (1988-1992). Ex calciatore, di ruolo centrocampista. Già giocatore di Nancy (1972-1979), Saint-Étienne (1979-1982) e Juventus (1982-1987) e della Nazionale francese (1976-1987). Tra i numerosi trofei conquistati, una Coppa di Francia (1977/1978) col Nancy; un campionato francese (1980/1981) col Saint-Étienne; due campionati italiani (1983/1984, 1985/1986), una Coppa Italia (1982/1983), una Coppa dei campioni (1984/1985), una Coppa intercontinentale (1985), una Coppa delle coppe (1983/1984) e una Supercoppa Uefa (1984) con la Juventus; un Campionato europeo (1984) con la Nazionale francese. Vincitore di tre Palloni d’oro consecutivi (1983, 1984, 1985). «Michel, maglia numero 10, è stato il Calcio. Spettacolare nei colpi, ma sempre essenziale; un fantastico regista, con una smodata passione per il gol (353 in 649 partite ufficiali)» (Fabio Monti). «Come Icaro, ogni volta che mi avvicino al sole, tutto brucia» • Robuste ascendenze italiane. «Il nonno Francesco, origini novaresi di Agrate Conturbia, era muratore e si trasferì a Joeuf, Lorena, dove rilevò la licenza del Café des Sportifs. Il padre, Aldo, era professore di matematica e allenatore dilettante. La mamma, Anna Piccinelli, arrivava dal bellunese e quando serviva Pernod e Calvados al bancone di zinco del suocero aveva già Michel nella pancia» (Maurizio Crosetti) • «Joeuf è lassù, un puntino fra castelli, nuvole e carbone. Un alluce di Lorena incollato a Lussemburgo, Belgio e Germania. […] Joeuf fu la sua palestra, il suo teatro. Sognava e segnava. […] Il bar degli sportivi, la saracinesca del garage che gli faceva da porta e il palo del telegrafo che lo aiutava a prendere la mira: cartoline lontane, immagini sbiadite» (Roberto Beccantini). «Gli inizi sono stati da favola, la storia tenera del “brutto anatroccolo”: “Mi chiamavano ‘Ratz’ (‘il nano’)”. Gambine fragili su un corpo esile e un cuore matto di chi, a Joeuf, […] dribblava solitario le sedie del Café des Sportifs. […] Allergico alla scuola (“l’occhio di un calciatore vale più di una laurea”)» (Massimiliano Castellani). «Un lavativo che ha avuto bisogno di due tentativi per strappare il suo unico diploma, la licenza media» (Jean-Philippe Leclaire). «A dieci anni avevo segnato ventiquattro gol nella stessa partita tra i due alberi di castagno della scuola. Era una vocazione, ero nato attaccante: diventai numero 10 per caso. Dovetti sostituire un numero 10 e così feci, diventando un 9 e mezzo». «A undici anni, Michel […] firma il suo primo contratto, con l’As Joeuf; il 2 maggio ’73, quando di anni ne ha quasi 18, esordisce nella prima divisione francese (Nancy-Nîmes); dieci giorni dopo, segna la sua prima doppietta (al Lione). Il 27 marzo ’76, gioca la prima partita in nazionale (2-2 contro la Cecoslovacchia, Parco dei Principi, il suo palcoscenico preferito)» (Monti). «Maestro sui calci da fermo, pari al “nano più forte del mondo, Maradona”, in Francia segnava un gol ogni 180 minuti. La maglia n. 10, perennemente fuori dai calzoncini, segno particolare inconfondibile, del fantasista razionale che si ispirava al Pelide Cruijff, ma che venerava Pelé come “unico vero ‘dio’ del calcio. Tant’è che da bambino mi firmavo Peléitini”» (Castellani). «In Francia il calcio non esisteva. Quando mi domandavano quale fosse il mio lavoro rispondevo “calciatore”, ma la replica era: “Quello è il suo hobby, non scherziamo: il calciatore non è un mestiere”. Questa era la Francia degli anni Sessanta e Settanta quando ho cominciato: non era come l’Italia, appassionata e con i tifosi» (a Francesco Semprini). «L’8 febbraio ’78 è il giorno in cui seduce l’Italia: a Napoli, segna due gol su punizione a Zoff. C’è una squadra che parte all’inseguimento di questo talento, che ogni giorno si allena a battere le punizioni, mettendo le sagome come barriera: è l’Inter. I viaggi di Sandro Mazzola e Giancarlo Beltrami (uno sotto una bufera di neve) rendono possibile l’operazione, anche se le frontiere sono ancora chiuse. Platini, che vince la Coppa di Francia con il Nancy, approda a casa di Fraizzoli, a Milano, zona Magenta, costretto a stappare due bottiglie di champagne per celebrare l’evento. Il numero uno nerazzurro racconterà nell’84, al momento di abdicare: “Il presidente della Figc di allora, Artemio Franchi, mi aveva garantito che le frontiere sarebbero state riaperte”. Invece restano chiuse per altri due anni. Il contratto è firmato, ma congelato: Platini, dopo un’ultima stagione al Nancy rovinata da un serio infortunio, viene ceduto al St. Etienne nell’estate ’79. Un anno dopo, in Italia tornano gli stranieri, ma l’Inter, fresca di scudetto, sceglie Prohaska, fra lo stupore di Bersellini. Così Michel vince il campionato con il St. Etienne, la squadra che ha riportato in alto il calcio francese (2 giugno ’81). Il 23 febbraio ’82, la Francia, con un suo gol (e uno di Bravo), batte l’Italia, in amichevole, dopo un’attesa durata 62 anni. È la partita che convince l’avvocato Agnelli, che vede lo spettacolo in villa, insieme con Boniperti, a muoversi: l’Inter ha cambiato strategia (prenderà Juary e Hansi Müller), Platini è libero e in scadenza di contratto. Il dottor Giuliano, braccio destro di Boniperti, vola da Varsavia (dove ha soffiato Boniek alla Roma) a Parigi e chiude l’operazione per duecento milioni di lire. Il 30 aprile ’82, ultimo giorno di mercato per i nuovi stranieri, Platini arriva a Torino per la firma del contratto. Boniperti lo abbraccia e lo rimprovera: “Tagliati i capelli”. Risposta secca: “Non si preoccupi: non li perdo”. Il blitz deve restare segreto, ma Europe 2 fa saltare il piano della Juve e dà l’annuncio. Alle 20, è tutto chiaro: Brady a fine stagione deve fare le valigie, dopo aver vinto due scudetti in due anni» (Monti). «“Lo abbiamo preso per un tozzo di pane – dirà poi l’Avvocato – e lui ci ha messo sopra il caviale”. Il “caviale” viene spalmato sulle tartine bianconere durante cinque squisite, e indimenticabili, stagioni» (Alberto Cerruti). «Platini gioca un grande Mondiale (quarto posto con la Francia), chiuso dall’eliminazione ai rigori di Siviglia contro la Germania (8 luglio ’82), mentre la partenza con la Juve non è felicissima. Soffre di pubalgia e fa fatica a capire il gioco bianconero. Osserva Trapattoni, che in panchina “avvita le lampadine”; scopre che il gioco lo fa Furino. Qualcosa non va, ma a partire da febbraio la musica cambia, anche se la Juve perde scudetto (Roma) e Coppa dei campioni (Amburgo). La vittoria in Coppa Italia il 23 giugno ’83 (contro il Verona) è anche un trionfo personale. In dicembre, gli frutta la conquista del Pallone d’oro, 25 anni dopo Kopa. Il 29 aprile ’84 vince il primo scudetto (20 gol); il 16 maggio arriva anche la Coppa delle coppe (2-1 al Porto), ma il capolavoro lo firma il 27 giugno: con nove gol, conquista l’Europeo con la Francia (in finale sulla Spagna). È una vittoria che lascia il segno anche nel fisico, perché Platini è spremuto come un limone. Il campionato è una sofferenza per la Juve, la Coppa dei campioni finisce con la notte maledetta dell’Heysel» (Monti). «29 maggio ’85, una data indimenticabile. Bruxelles, […] finale di Coppa campioni, allo stadio Heysel tra la Juventus e il Liverpool detentore del trofeo. Con tutto quello che tutti sanno, prima che la partita abbia inizio. In quella notte allucinata di 39 morti e 600 feriti, in quella partita senza senso giocata per imposizione delle autorità belghe, nel timore di altri incidenti, Platini segna l’inesistente rigore decisivo, esulta sconsideratamente e alla fine si esibisce pure sotto la curva con la coppa alzata. Ne proverà l’imbarazzo per tutta la vita. In un’intervista con Marguerite Duras, su Libération del 14 dicembre 1987, confesserà che in quella partita maledetta era diventato, nel modo più drammatico, un uomo: “Fino a un certo punto, abbiamo i nostri giochi da bambini. E poi, tutt’a un tratto, quei giochi non ci sono più. Ecco, per me è finito tutto quel giorno lì: ho perso i miei giochi da bambino”» (Maurizio Assalto). «È una partita che gli brucia la giovinezza. L’inizio della fine. A France Football ha confessato: “Dopo l’Heysel, non avevo più voglia di niente; non riuscivo ad andare avanti; ho capito che era cominciato il declino”. Però riesce a vincere l’Intercontinentale (8 dicembre ’85), segnando il gol decisivo su rigore all’Argentinos Juniors (2-2), nel giorno in cui a Tokio l’arbitro Roth gli annulla “il più bel gol della mia carriera”» (Monti). «La sua foto – sdraiato e imbronciato, alla Paolina Borghese – fece il giro del mondo. “Palla sulla testa di un avversario e sinistro al volo, nel sette. L’arbitro, Roth, andò a scovare un fuorigioco di posizione di Serena, roba da matti”» (Beccantini). «Platini stringe i denti, per un problema al tendine d’Achille, e riesce a vincere il secondo scudetto e a giocare un grande Mondiale. Il declino è già cominciato: “Prendevo medicine a ogni ora del giorno”. La corsa mondiale finisce quando sembra diventata facile, dopo che nel giorno del suo 31° compleanno ha eliminato il Brasile, segnando quello che diventa l’ultimo gol della sua carriera in Nazionale. Invece va a sbattere un’altra volta contro la Germania: “Peccato, perché resto convinto che avrei dovuto vincere quel Mondiale; avevamo la miglior nazionale, ma Giresse e io stavamo male”. Il terzo posto è un traguardo importante, ma non dà la felicità, anche perché Platini sta male, in una Juve diversa, con il gruppo storico che ormai non c’è più (se n’è andato anche Trapattoni), nella quale fatica a riconoscersi. L’addio avviene sotto la pioggia, il 17 maggio ’87 (3-2 al Brescia). L’avvocato Agnelli, che lo aveva paragonato all’argentino Pedernera, saluta commosso “un artista, mezzo Manolete e mezzo Nureyev. Noi volevamo tenerlo, ma lui non vuole più giocare”. Torino è nel destino di Platini, perché è al Comunale, alla fine di una partita in suo onore, che viene nominato c.t. della Francia (1° novembre ’88). La qualificazione a Italia ’90 è compromessa; quella all’Europeo ’92 diventa una corsa che alimenta legittimi sogni di grandeur: 8 vittorie in otto partite. È in Svezia, a Malmö, che la Francia viene eliminata dalla Danimarca: lui si dimette. Ma non si nasconde. Il 2 luglio ’92, diventa co-presidente del Comitato organizzatore del Mondiale di Francia, con Fernand Sastre. Nasce un’edizione memorabile, chiusa dalla vittoria del Bleus di Zidane sul Brasile di Ronaldo (3-0, 12 luglio ’98)» (Monti). «Da dirigente partì subito con una bella raccomandazione: Mitterrand lo chiamò a capo del Mondiale ’98. Andò benissimo, tanto che Michel decise di imparare davvero il mestiere e si affidò a Blatter: chi meglio di lui? Il colonnello gli insegnò ogni dettaglio, ogni segreto, e gli chiese in cambio anche l’anima, con la promessa che “un giorno, figliolo, quello che vedi sarà tuo”. Michel ci ha creduto, ha sgobbato, ha cercato e ottenuto il consenso delle piccole federazioni (qui i voti si contano, non si pesano): tutta discesa. Ma è proprio in discesa che le cadute possono uccidere» (Crosetti). «Nel 2007 Platini diventa presidente Uefa; viene rieletto nel 2011, anno in cui Blatter è rieletto alla Fifa con i voti europei di Platini, e nel 2015, anno in cui Blatter è rieletto con la rinuncia di Platini a sfidarlo. […] Alla Uefa ha portato molte cose. La più importante è il fair play finanziario: le nuove regole che dicono che i club debbono vivere con ciò che riescono a produrre vendendo calciatori, vendendo diritti tv, vendendo magliette e qualunque altra cosa riescano a mettere sul mercato. E però […] sotto la sua presidenza alcune squadre, tra cui il Paris Saint-Germain, hanno invece fatto carne di porco del calciomercato, potendo attingere agli infiniti capitali del fondo sovrano del Qatar. Già, il Qatar, pietra di molti scandali» (Giuseppe De Bellis). «Era il trono dell’imperatore Blatter (a capo della Fifa per quasi un ventennio, dal 1998 al 2016) quello a cui Le Roi stava puntando, anche in qualità di unico erede universalmente accreditato. E il suo piano strategico da Napoleone del calcio era ad un passo dalla realizzazione, quando l’8 ottobre 2015 viene sospeso per 90 giorni. Il comitato etico della Fifa l’accusa di aver percepito, nel 2011, 2 milioni di franchi svizzeri come compenso dallo stesso Blatter, per lavori svolti tra il 1999 e il 2002. Platini viene condannato a otto anni di squalifica, poi ridotti dal Tas a sei e infine a quattro, ma non ottiene la cancellazione del “reato” di acquisizione indebita di denaro per scopi e vantaggi personali. Spalle al muro. Il re è ormai solo, quando si accorge che il primo a voltargli le spalle è stato il suo figlioccio, il pupillo e confidente principe fino al giorno prima dello scandalo, Kevin Lamour» (Crosetti). «È stato il colonnello Blatter a servirgli l’arsenico nel calice di champagne, con l’ombra di quei due milioni in nero, inspiegabili, un lavoro pagato con nove anni di ritardo. Perché? Come? Il nuovo, Platini, voleva cancellare il vecchio, Blatter, dopo essere stato suo consigliere speciale dal ’99 al 2002, portando al tiranno i voti per la rielezione (anche quello dell’Italia), evitando di candidarsi, spingendo il Qatar verso il mondiale 2022. Certi favori non si fanno gratis. […] Che a bruciarlo e non solo sospenderlo sia un Comitato che si chiama anche Etico, è una lapide. Lui che aveva fatto del fair play non solo finanziario e della correttezza i suoi totem: sulle maglie dei calciatori in Coppa c’è scritto “Respect”, l’ha voluto Platini in persona» (Crosetti). «Per una mazzetta – presunta o, se vera, inutile, per un uomo ricco e potente come pochi altri in Francia –, il sogno è svanito, e tutti gli uomini del presidente, uno a uno, si sono dileguati. Il suo maggior cortigiano, Gianni Infantino, clamorosamente è riuscito a strappargli lo scettro di capo assoluto della Fifa» (Castellani). Nonostante nel maggio 2018 la magistratura elvetica abbia scagionato da ogni accusa Platini, la squalifica è tuttora valida (fino a ottobre 2019), in quanto la giustizia sportiva non è subordinata alla giustizia ordinaria. Da ultimo, il 18 giugno 2019, Platini, presentatosi agli inquirenti della Procura nazionale finanziaria di Nanterre, fu sottoposto per alcune ore a fermo cautelare, venendo poi rilasciato nella notte senza peraltro essere stato iscritto nel registro degli indagati. «“Ho risposto a tutte le domande – ha spiegato Platini –. Ce n’erano tante, non solo sul Mondiale in Qatar, ma anche per quello in Russia, sull’Euro 2016 e sulla Fifa. Per questo c’è voluto del tempo. Poi fa male trovarsi in una situazione del genere. Ti presenti come testimone libero e vieni messo subito in fermo. Comunque, loro fanno il loro lavoro e continuano a indagare”. Un’inchiesta partita nel 2016 per capire in particolare i potenziali legami tra l’attribuzione del Mondiale al Qatar, macchiata da sospetti di corruzione, ed eventuali affari tra l’emirato e la Francia. Anche se l’indagine si ramifica pure al sostegno di Platini al Mondiale russo, al suo rapporto con la Fifa e all’assegnazione dell’Europeo del 2016 alla Francia, deciso nel maggio 2010, quando Sarkozy era presidente della Repubblica, e per questo non convocabile dai magistrati. Proprio all’Eliseo si svolse nel novembre del 2011 un incontro segreto in presenza non solo di Platini ma anche dell’attuale emiro del Qatar, allora alla guida della candidatura di Doha, oltre che del suo premier e del segretario generale dell’Eliseo, Guéant. L’ex bianconero vi si presentò per comunicare il sostegno all’emirato [secondo un’ipotesi discretamente accreditata, però, Platini avrebbe dapprima promesso il proprio voto agli Stati Uniti, salvo poi cedere alle pressioni di Sarkozy – ndr], senza però sapere che avrebbe pranzato anche con i dignitari: “Capii subito – ha sempre spiegato pubblicamente Platini, non senza un filo di ironia – che Sarkozy propendeva per il voto al Qatar”. Nove giorni dopo Doha ottenne il Mondiale, battendo la concorrenza di Giappone, Corea del Sud, Australia e Stati Uniti. Nei mesi successivi, il Qatar si comprò il Psg, mise in cantiere la rete tv BeIn Sports, divenne primo azionista del gruppo Lagardère Sports, e finanziò pure un corso alla Sorbona affidato a Sophie Dion, pure lei fermata e interrogata dalla Procura di Nanterre. […] Platini fu già sottoposto a perquisizione dei suoi domicili dopo rivelazioni giornalistiche su un presunto dono di un quadro di Picasso da parte di un membro della delegazione russa, che il francese ha sempre negato di aver ricevuto» (Alessandro Grandesso). «“Non so se tornerò nel calcio. Ma credo ci sia stato un complotto del Tas e della Fifa: lì sono tutti amici e si conoscono molto bene tra loro… Sono stato giudicato in tutti i processi sportivi senza potermi difendere, ma non è rimasta in piedi nessuna accusa di corruzione o altro. Adesso sono io che attacco: perché voglio che siano puniti tutti quelli all’origine del complotto per impedirmi di diventare presidente della Fifa”. […] Il 10 ottobre scadrà la squalifica, l’11 ottobre “Le Roi” tornerà disponibile per il calcio, anche se non ha ancora deciso cosa fare. Ma intanto non è rimasto con le mani in mano e, con i suoi avvocati, s’è rivolto a diversi tribunali. 1) In Francia, per calunnia nei suoi confronti contro ignoti. 2) Alla Corte di giustizia di Strasburgo per il diritto a un processo, per la non retroattività delle sanzioni e per il diritto al lavoro. 3) In Svizzera contro Andreas Bantel, portavoce del comitato etico Fifa, per diffamazione. 4) Ancora in Svizzera contro Andreas Marti, portavoce del pm Lauber, per tutte le sue dichiarazioni lesive nei suoi confronti. Se è stato un complotto, chi c’era dietro? “Ho qualche idea, penso che l’abbiano tutti, ma siccome non ho prove ho fatto denuncia contro ignoti. Però è qualcuno dentro il calcio. Fifa e Tas. D’altra parte, alla mia ultima conferenza da presidente Uefa, al sorteggio di Montecarlo del 2015, qualcuno mi aveva messo sull’avviso…”. […] E di cosa l’aveva avvisata? “Del fatto che qualcuno stava cercando di impedirmi di diventare presidente Fifa. C’erano due storie in ballo. Mio figlio che lavorava per un’azienda del Qatar. E il pagamento Fifa ricevuto da Blatter e regolarmente denunciato al fisco”. Un pagamento che le ha cambiato la vita. “Ma era per un lavoro svolto alla Fifa in passato. Nel marzo ’98 Blatter ha promesso che mi avrebbe pagato, ad agosto gli ho ricordato di pagarmi e la storia è andata avanti. Erano soldi che mi doveva”. […] La storia del Qatar? “Una volta per tutte. Non mi hanno chiesto niente. Sono andato al pranzo con Sarkozy e ho trovato quelli del Qatar. Ma ero andato per dire che avrei votato Russia e Qatar, avevo deciso. Nessuno mi ha obbligato. Solo Blatter mi ha chiesto di votare per la Russia”. A ottobre cosa succede quando finisce la squalifica? […] “Non so davvero, vi assicuro: ora non so che cosa farò. Una solo cosa mi importa: io non voglio che finisca la squalifica, io voglio essere considerato pulito! E che chi mi ha voluto male paghi! Sono stati tre anni duri, ma ho riscoperto il piacere della vita, il benessere: voglio solo che sia restituita la mia immagine”» (Fabio Licari). «Avevo passato gli ultimi 50 anni nel fermento, nella comunicazione, senza un minuto di tranquillità. Negli ultimi tre anni sono tornato nel mondo reale delle persone normali. […] Vedo la vita in modo diverso, ma non ho perso la mia combattività. Prima non avevo tempo. Oggi posso andare dove voglio senza dare spiegazioni. È l’unico punto positivo della faccenda. È stata dura nei primi mesi incassare, soprattutto per le persone che mi sono vicine. Io ho la pelle dura. Se fossi stato un mascalzone, non sarei qui. Me ne sarei andato dicendo: “Ho fatto una stronzata. Addio”. E nessuno avrebbe più sentito parlare di me» (a Patrick Oberli) • «Quando smise era una domenica di pioggia, 17 maggio 1987, Juventus-Brescia al Comunale, dopo la partita radunò tutti in una stanza e c’erano tartine e bicchieri di plastica. In curva Filadelfia, appeso al cemento smangiato, un lenzuolo diceva: "Che tristezza senza di te". Ma quanta allegria, prima, quanta pura gioia del gioco e della bellezza. Quanti gol di destro, sinistro, testa, al volo, in rovesciata, di controbalzo, quante punizioni e rigori. Perché Michel Platini era tutto, era un po’ Maradona e un po’ Falcäo, cominciava l’azione e la chiudeva, chiamava il triangolo e lo serrava, lanciava lungo e raccoglieva un tocco, un rimbalzo, una sponda comunque per lui. […] Disegnava l’impossibile senza quasi degnarsi, appena uno schizzo però sublime, un solo tocco di colore ed era già capolavoro. […] Stile, intelligenza calcistica e non, ironia inarrivabile, snobismo, accenti sprezzanti, emotività: come quando si incaponì di fare la punta pura ad Atene, nella finale di Magath, e non vide palla. Ma gli accadeva rarissimamente di giocar male. E sapeva resistere al dolore fisico, dalla pubalgia d’esordio alla tendinite conclusiva, inizio e fine della storia bianconera» (Crosetti) • Sposato, due figli • «Non gioca più a pallone. Ha tradito il tennis con il golf, ma se "flappa" è come se avesse sbagliato un rigore» (Tony Damascelli) • «Gianni Agnelli amava telefonare, all’alba, ad amici e conoscenti: il gioco perfido della sveglia pre-mattutina lo divertiva come capita ai sovrani. Provò anche con Platini, erano le sei e mezzo di un mattino qualunque: “Stava dormendo?”, Michel rispose in un secondo: “Non ancora”. Fu l’inizio di una amicizia che si consolidò con gli anni, al punto che quando l’avvocato celebrò i settanta, a Parigi da Chez Maxim, con un gruppo ristretto, invitò il francese, che portò in dono uno dei tre Palloni d’oro che aveva conquistato, accompagnato da un biglietto augurale: “Questa è l’unica cosa che Lei non potrà mai avere”. Qualche giorno dopo, Gianni Agnelli telefonò a Michel per sincerarsi: “Ma è davvero tutto d’oro?”, anche stavolta la replica fu trionfale: “Eh no: se fosse tutto d’oro, non glielo avrei regalato…”» (Damascelli) • «Classe raffinata. Il sinistro di Omar Sivori era adrenalina pura, il destro di Michel è stato pennello e righello, quelle punizioni, quelle traiettorie, troppo “esatte” perché un portiere potesse gridare al destino cinico e baro (l’ha detto Zoff). […] Il calcio di Platini è stato elegante e ironico, hotel di lusso e non stamberga, cabaret e non discoteca. Passione, non mestiere. […] Era un direttore d’orchestra che, ogni tanto, si sostituiva al tenore. Per farlo, aveva bisogno di impresari che ne sapessero governare le fregole e le bollicine: li trovò in Boniperti e Trapattoni, l’allenatore che si divertiva a provocarlo, mitigandone il gusto estetico con il suo personalissimo “decalogo”: undicesimo, non lasciare sguarnita la difesa. […] Prima che comparisse, la Francia era vergine di trofei. L’ha liberata dal sarcasmo di noi italiani, e per noi ha realizzato il miracolo di umanizzare l’unica squadra che non fa prigionieri, o la ami o la detesti: si chiama Juventus, e lo sa bene. […] Il migliore di molti, non di tutti» (Beccantini). «Guascone e tenero, faccia da schiaffi e sincero ai massimi, istintivo e razionale, calmo e passionale, intelligente e geniale» (Damascelli). «Quando i calciatori non erano superprofessionisti costruiti in laboratorio, il calcio era ancora un gioco e Roi Michel il sommo giocoliere che poteva permettersi i colpi più beffardi, gli allenamenti un po’ svogliati, le sigarette, anche, e sul campo quella divina sprezzatura che ne faceva un fenomeno unico e irripetibile, venuto da cielo in campo a miracol mostrare» (Assalto). • «Penso che i calciatori della mia generazione godessero di più a giocare. […] Io appartengo alla generazione del calcio-passione. Sono figlio del piacere, non degli affari. Quando ero ragazzo non sapevo neppure che si potesse diventare dei calciatori professionisti. Oggi, invece, senza offesa per nessuno, penso che si diventi calciatore per il solo desiderio di ascesa sociale» (a Paul Miquel). «“Trent’anni fa il calcio era molto più cattivo e violento. Oggi la tv lo ha reso più pulito. Ronaldo e Messi non sono mai stati picchiati”. In un calcio violento è riuscito a fare una carriera senza espulsioni: com’è possibile? “Facile: sono stati espulsi quelli che mi marcavano. Mi volevano pestare tutti”. […] Perché è stato allenatore solo per pochi anni? “È noioso. Stai in panchina, e se ti fa tre gol Ronaldo sei il più grande, se invece sbaglia il rigore sei solo il più grande coglione. L’allenatore è importante, non fondamentale”. […] Da presidente Uefa ha introdotto il fair play finanziario: non è troppo stringente? “È stato utilissimo: ha ridotto i debiti dei club da 3 miliardi a 200 milioni: abbiamo salvato tante società”. […] La tecnologia è entrata nel calcio con la Var. A lei non è mai piaciuta: perché? “Sono stato sempre contro. La Var può aiutare, ma poi c’è l’interpretazione: decide sempre l’uomo. I designatori hanno trasformato gli arbitri in campo in pupazzi. È dura perdere una partita per un errore arbitrale, ma è umano. Ora c’è la tecnologia, e sbagliano comunque. Non è possibile stabilire se un fallo di mano è volontario o no; sul fuorigioco, invece, la Var è utile. Lasciate giocare gli umani tra loro. Il calcio è stato inventato per i giocatori, non per gli arbitri, che impongono le loro regole: è quello che mi fa arrabbiare. L’arbitro non è l’architetto del calcio, sono i calciatori”. […] Con Blatter siete stati amici, avversari, nemici. Cosa c’è oggi? “Nulla. L’ho sempre aiutato. Lui ha sbagliato totalmente la sua uscita di scena, voleva morire in Fifa. Dopo ha cominciato a dire stupidaggini per poter rimanere lì a vita”. […] Oltre l’ex campione, l’ex presidente, chi è Platini? “Un uomo molto fedele ai miei amici. E molto fedele ai miei nemici”» (Guido De Carolis).