il Fatto Quotidiano, 19 giugno 2019
A chi fa comodo la nini flat tax
La legge istitutiva della mini flat tax per i professionisti e per le piccole imprese individuali è entrata in vigore il primo gennaio scorso. Aliquota Irpef unica al 15%, niente Iva e ritenuta d’acconto da pagare e costi abbattuti a forfait sono il piatto forte del nuovo regime fiscale a cui può accedere chi ha realizzato ricavi sotto i 65 mila euro annui. In base ai dati forniti dall’Osservatorio del ministero dell’Economia sulle nuove attivazioni registrate nel primo trimestre dell’anno stiamo assistendo a un vero e proprio boom delle partite Iva. Sono 104.456 i soggetti che hanno aderito al regime forfettario, pari a più della metà del totale delle nuove aperture (53,3%), con un aumento di adesioni di ben il 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In base alla classificazione per settore produttivo, le attività professionali vantano il maggior numero di aperture di partite Iva (20,2% del totale), seguite dal commercio (17,8%) e dalle costruzioni (9,1%). Rispetto al primo trimestre del 2018 le forme societarie presentano significativi cali: -17,2% per le società di persone e -8,5% per le società di capitali. Poi da gennaio 2020 il tetto dei ricavi si alzerà a 100 mila euro, ma i costi dovranno essere documentati per essere detratti dall’imponibile.
Per quest’anno, la legge istitutiva prevede che a far fede sia il fatturato del 2018. Una clausola che ha spinto, chi ha potuto, a rimandare la fatturazione delle prestazioni a ridosso del 31 dicembre 2018 a quest’anno. Ma non è stata l’unica distorsione portata dalla nuova imposta piatta. Il ragionier Agostino (lo chiameremo così) presta la sua opera come commercialista nello studio intestato alla moglie. La norma stabilisce che dal 2019 non si può essere ammessi agli sconti d’imposta se si controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, riconducibili all’attività autonoma intrapresa. Allora il professionista si è messo davanti alla tastiera e ha interpellato direttamente l’Agenzia delle entrate. Gli associati negli studi professionali – architetti, avvocati, commercialisti in prima fila – sono stati finora tra coloro che hanno aderito con maggior entusiasmo al nuovo regime forfettario. Il meccanismo è semplice: i costi vengono dedotti dall’imponibile del titolare dello studio obbligato a rimanere nel regime Iva ordinario e gli associati si trasferiscono armi e bagagli nel paradiso “flat”.
Ha brindato al nuovo anno anche il vasto mondo di pensionati benestanti, funzionari e dirigenti ministeriali. Il governo ha eliminato la clausola “anti elusiva” voluta nel 2015 dal governo Renzi che impediva ai soggetti titolari di redditi da lavoro dipendente o pensione sopra i 30 mila euro di poter accedere all’aliquota fissa per gli eventuali redditi da lavoro autonomo. E così un professionista con un reddito di 130 mila euro non può accedere all’aliquota agevolata, ma un pensionato con 80 mila euro di pensione che cumuli consulenze per 50 mila euro, può pagare su quest’ultimo reddito il 15% invece della normale aliquota Irpef del 43%.
Tra i nuovi beneficiari degli sconti fiscali troviamo anche i titolari delle cosiddette false partite Iva e i loro datori di lavoro. Sono coloro che prestano la loro opera come lavoratori dipendenti ma che, nei confronti del fisco, della previdenza e dei contratti collettivi, figurano inquadrati nel più conveniente popolo delle partita Iva. “Per loro il taglio di aliquota fiscale è stato sostanzioso e anche il prelievo previdenziale praticato dalle casse professionali a cui si aderisce è molto più vantaggioso rispetto all’Inps, ma la flat tax si è portata via anche i diritti che i contratti comportano: ferie, maternità, malattia, stabilità del rapporto”, fa osservare il responsabile per le politiche fiscali della Cgil, Cristian Perniciano. “Queste norme incentivano il professionista a non assumere e a non ingrandire la sua attività – aggiunge Perniciano – ma di fatto avvantaggiano anche il suo dipendente: su un lordo di 65 mila euro con il regime ordinario, gli rimarrebbero in busta paga 38 mila euro. Ma se passa alla flat tax se ne ritroverebbe 45 mila, con un risparmio per il datore di lavoro sulla quota contributiva di 15 mila euro”. “Se sei un professionista vero e una struttura organizzativa articolata ti conviene il regime ordinario”, spiega, dati alla mano, il responsabile dell’ufficio per le politiche fiscali della Cna, Claudio Carpentieri, che valuta nel complesso positivamente la cura choc applicata dalla Lega. Ma di cui beneficiano, secondo la Cna, solo autonomi con ricavi superiori ai 15-20 mila euro, a seconda delle categorie.
Secondo i calcoli dell’ufficio studi di Lef (l’associazione per la legalità e l’equità fiscale), la flat tax per gli autonomi sembra fatta esclusivamente per avvantaggiare le fasce di ricavi più alte. Complessivamente su 1,7 milioni di contribuenti che potrebbero ricadere nell’aliquota unica, oltre 800 mila (oltre il 45%) non hanno convenienza a rinunciare al sistema delle detrazioni e delle deduzioni previsto dal regime ordinario. Il fatto che un così elevato numero di soggetti indipendenti con volume d’affari inferiore ai 65 mila euro non riceva sostanziali vantaggi dall’introduzione dell’aliquota unica è un problema strutturale della norma, che in termini applicativi produce l’effetto opposto di quello ottenuto con la progressività. Per quanto riguarda il nostro ragionier Agostino, la risposta dell’Agenzia delle Entrate è stata salomonica: per il 2019 un contribuente in possesso dei requisiti previsti dalla legge può accedere al regime forfetario anche se controlla indirettamente una Srl, di cui è anche amministratore. Per il 2020 si vedrà.