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 2019  giugno 19 Mercoledì calendario

Dietro al ponte Morandi anche la camorra

Se la travagliata ricostruzione del Ponte Morandi fosse una raccolta di figurine, beh, come dire: abbiamo finito l’album. In compenso non abbiamo iniziato a ricostruire il ponte, anzi, non abbiamo neppure finito di demolirlo. Ma è già spuntata la camorra. Complimenti a tutti, soprattutto a quella forza politica che in Parlamento gridava «la mafia è nello Stato» e adesso ha finalmente dimostrato di avere ragione: solo che lo Stato è lei. La notizia sarebbe anche vecchia, perché era da almeno un mese che il prefetto di Genova aveva emesso una interdittiva verso un’azienda napoletana impegnata nella demolizione, azienda definita «permeabile ed esposta al pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso». Però sapevamo che per far partire «interdittive» del genere, spesso, basta niente. La ditta è la Tecnodem s.r.l. e da febbraio era stata inserita (e pagata 100mila euro) tra le subappaltatrici per la demolizione e la bonifica degli impianti.
LA PRESTANOME
La Direzione Investigativa Antimafia (Dia) aveva segnalato che l’amministratrice della Tecnodem era consuocera di un dipendente ligure della ditta, e che aveva precedenti penali in processi di mafia. Niente di grave? E invece sì, perché gli amministratori della Tecnodem sono finiti al gabbio ieri mattina: dentro l’amministratore di fatto e dentro la donna (ai domiciliari) che è considerata una prestanome. Accusa: contiguità con clan camorristici. In manette Consiglia Marigliano, amministratrice e socio unico della Tecnodem, e Ferdinando Varlese, pregiudicato napoletano di 65 anni che viveva a Rapallo. Secondo gli investigatori il vero amministratore era lui che agiva per il clan D’Amico del rione Villa di Napoli. Varlese era già stato condannato a Napoli nel 1986 per associazione a delinquere, e tra i i coimputati vi erano affiliati alla «Nuova Famiglia» di Michele Zaza e suo nipote Ciro Mazzarella. OSTACOLI AI CONTROLLI
Non solo. Il nostro amministratore nel 2006 era stato condannato per «estorsione tentata in concorso» (3 anni e 4 mesi) e in quella circostanza i legami col sodalizio camorristico erano ancora più evidenti, anche perché Varlese vi era legato da rapporti di parentela. Ora, se permettete, un paio di domande. La prima: ma com’è possibile che la camorra riesca a insinuarsi in un cantiere del genere, forse il più sovraesposto del Paese? Risposta a cura del colonnello Mario Mettifogo, comandante della Dia di Genova: «Nonostante sia un cantiere molto pubblicizzato e molto controllato, questi soggetti ci provano comunque. Le deroghe sul cantiere non hanno ostacolato i controlli, hanno semplicemente posticipato le misure: si è permesso alle ditte di iniziare il lavoro per poi avviare controlli più approfonditi». Capito. Diciamo che in effetti, anche se iniziano i lavori, dato l’andazzo, non c’è il rischio che li finiscano: a dieci mesi da quella che doveva essere la riscossa del governo giallo-verde, siamo ancora lì a spostare macerie. «NON SI PUÒ ASPETTARE» Il sindaco di Genova e commissario straordinario Marco Bucci, ieri, ha parlato dell’abbattimento con esplosivo delle pile 10 e 11 del troncone di levante del Ponte, la parte che sovrasta le case di via Porro. Secondo Bucci lo faranno il 27 o il 28 giugno. «Mi hanno detto che devo sollecitare le istituzioni spagnole per l’arrivo del detonatore», ha spiegato Bucci, spesso disperato per via di lentezze e problemi che non dipendono da lui. «Non possiamo più aspettare. Questo detonatore è una cosa molto sofisticata, garantisce che ci siano esplosioni ripetute ma non simultanee e cancella gli effetti dell’onda d’urto che potrebbe sollecitare le cariche». «La data non dipende da noi» gli ha fatto eco il prefetto di Genova Fiamma Spena». Dipende dagli spagnoli, insomma. E sarà anche vero. 10 MESI DOPO Però è anche vero che ricostruire il Ponte Morandi doveva essere il simbolo del riscatto di un governo e soprattutto di alcuni tonitruanti ministri grillini, che ai tempi sembrava quasi che litigassero per chi dovesse comandare il plotone di esecuzione contro i Benetton: ora è finita a pizza e fichi col cappello in mano. Sono passati dieci mesi e la vera novità è questa: si era infiltrata la camorra. Non è speculazione politica ricordare che ci sono stati 43 morti e che centinaia di persone hanno perso la casa; e non lo è, neppure, ricordare che a dieci mesi dalla tragedia (che ogni genovese ricorda semplicemente mettendo il naso fuori di casa) essere ancora fermi alla demolizione non pare in ogni caso un miracolo di reattività. Abbiamo almeno una garanzia: non sarà ricostruito il ponte prima che a Roma sia crollato qualcos’altro.