La Stampa, 19 giugno 2019
Gli Usa vogliono bombardare gli impianti nucleari dell’Iran ma non vogliono una guerra
Gli Stati Uniti inviano altri soldati in Medio Oriente e diffondono nuove immagini che dimostrerebbero il coinvolgimento dei Pasdaran nell’attacco alle petroliere nel golfo dell’Oman. Il rafforzamento del dispositivo militare davanti alle coste iraniane è legato alla difesa della «libera circolazione» delle navi mercantili, anche se arriva il giorno dopo l’annuncio di Teheran del superamento dei limiti alle quantità di uranio arricchito in suo possesso, una prima breccia da parte iraniana dell’accordo sul nucleare firmato nel 2015 e ripudiato da Trump un anno fa.
Il build-up bellico è però accompagnato da dichiarazioni distensive da parte degli Stati Uniti e del presidente iraniano Rohani, che ribadisce come la Repubblica non intende combattere «contro alcuna Nazione». E una «strana guerra» con tante cortine fumogene e tensioni che attraversano anche le rispettive amministrazioni. Se Rohani deve tenere a bada i falchi, pure Trump sembra non fidarsi troppo dei suoi, tanto che ieri ha ridimensionato gli attacchi alle petroliere come «un incidente minore» e poi ha silurato il segretario alla Difesa Patrick Shanahan, prima ancora che entrasse a pieno titolo in carica. Al suo posto Mark Esper, già alto dirigente del gigante militare Raytheon.
La partita è intricata. La questione nucleare è legata al traffico petrolifero attraverso lo Stretto di Hormuz, dove passa un terzo del greggio esportato nel mondo. Washington è decisa a rispondere, anche per rassicurare i mercati che ieri hanno visto il petrolio salire di un altro 4%. Ha mostrato nuove immagini del pattugliatore dei Pasdaran che ha affianca la petroliera giapponese Kokuta Courageous e rimuove «una mina magnetica inesplosa». Lo stesso Shanahan ieri mattina aveva confermato l’invio nella regione di altri mille soldati, come risposta «al comportamento ostile» delle forze iraniane, anche se aveva precisato che gli Stati Uniti «non cercano un conflitto».
Le intenzioni non sarebbero però soltanto difensive. Il segretario di Stato Pompeo e Shanahan avevano in programma un summit con il comandante del Centcom, generale Frank McKenzie, per discutere, secondo indiscrezioni della stampa israeliana, i «piani di attacco». Il quotidiano «Maariv» parla di riunioni frenetiche a Washington, con l’ipotesi di «bombardamenti aerei delle installazioni legate al programma nucleare». Si tratterebbe di raid «limitati a pochi obiettivi» ma di dimensioni «massicce». Nel mirino ci sarebbero installazioni a Parchim e Arak. Le notizie trapelate fanno parte della guerra psicologica in corso ma inquietano le altre potenze mondiali. Ieri il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha invitato a «non aprire il vaso di Pandora» in Medio Oriente, con conseguenze incontrollabili, e ha esortato anche Teheran a non lasciare «con leggerezza» l’intesa del 2015. Sulla stessa linea il presidente francese Macron, che ha incoraggiato l’Iran a «essere paziente e responsabile». Il punto di riferimento per il dialogo resta Rohani. Ieri ha ribadito che «la Nazione iraniana non vuole combattere». È vero, ha aggiunto, che «ci troviamo in un confronto con l’America», ma «non c’è nessuno al mondo che non lodi l’Iran per la sua lealtà» rispetto agli accordi. Il tempo però non gioca a suo favore.