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 2019  giugno 19 Mercoledì calendario

Intervista a Don Winslow

Don Winslow, lei, maestro del romanzo poliziesco e della letteratura narcos, autore dell’attesissimo Il Confine, ultimo capitolo della Trilogia del Cartello ora in libreria per Einaudi, davvero non guardamai le famoseserie tv sul traffico di droga tra Messico e Stati Uniti?«No».
E come mai?«Non è disprezzo, né spregio. Ma non voglio essere influenzato da altre opere. E poi dopo aver scritto per dieci ore sul narcotraffico, secondo lei mi metto a guardare una serie tv sullo stesso tema?». Dunque anche Don Winslow può stancarsi, nonostante quasi un libro all’anno dal 1991, spesso due fatichein contemporanea ele ultime opere tutte bestseller mondiali.
«Io non mi annoio mai, c’è troppo da raccontare nel mondo», spiega dalla sua casa poco fuori San Diego il 65enne scrittore americano, già autore di Le belve (poi film di Oliver Stone) e il Potere del Cane. Natoe cresciutoaRhodeIsland e aNew York, dovehagestitoprimauncinema epoi ha fatto l’investigatore privato, ha lavorato in Africa (safari), Cina (guida trekking) e infine si è trasferito in California, dove vive da quasi trent’anni.«Non homai avuto bisogno di una scrivania», rivela Winslow, «perché ho sempre scritto sulla strada, in hotel, in treno, in aereo, in ogni condizione,inogni momento.Soprattutto quando facevo altri lavori persopravvivere».
Mai avuto il blocco dello scrittore?
«Mai.E nonci credonemmeno.Scrivo piùdiunlibro contemporaneamente, cosìseungiorno non misento particolarmenteispirato per un’opera passodirettamente a un’altra».

Quanto affina quello che scrive in prima battuta?
«Moltissimo. Rileggo sempre dieci, quindici volte quello che ho scritto, ognigiorno. Perché la prima versioneè ciò che sento io, le riletture successive le dedico al lettore: cerco di plasmare la mia scrittura, di renderla accessibile, comprensibile, funzionale a chi legge. Evito a prescindere gli avverbi. Ingolfano. Sono inutili».
I suoi libri sono visivi. Sembrano film scritti.
«Il poliziesco è il genere letterario più interconnessoal cinema.Sono due mondiche siinfluenzano incredibilmente».
Quale film è stato decisivo per lei?
«Il braccio violento della legge, nel 1971, diWilliam Friedkin. Ricordo bene quandoall’epoca lo vidiin un cinema diBroadway. Mi sconvolse per la bellezza e la scrittura. Fu allora che decisi di diventare scrittore. E poi Serpico e Il Principe della città. Per ogni scrittore della mia generazione, questi filmsono stati una grande fonte di ispirazione,come JackieChan e una certaNouvelle Vague, pensoa Bandeà part di Godard. A volte, quando scrivo, cerco proprioa una narrazione cinematografica, un primo piano, una carrellata».
E il suo maestro Raymond Chandler?
«Eraun dio.Chandler per la prima volta ha dimostrato che nel poliziesco ci può essere poesia. Stile inarrivabile, lingua musicale, quasi jazz. Miei maestri sono anche Elmore Leonard, James M Cain, James Crumley, Jim Thompson e Lawrence Block».
Jason Sheenan della radio americana Npr ha detto che lei è un po’ uno Shakespeare dei nostri tempi perché, come il “Macbeth” per la politica scozzese dell’XI secolo, per comprendere la guerra della droga basta leggere lei.
«Shakespearehasempre avuto un’enormeinfluenza sudi me,anche ne Il confine : avevobisognodi cinque atti e il risultato è perfetto. Anche la guerra per lasuccessione del narcotrafficante Adán Barrera ricorda il trapasso da Enrico V e Enrico VI in Shakespeare,il vuoto dinastico da colmare, la tragicità caotica dei personaggi.E, comenelBardo, anche nella mia trilogia l’aspetto sanguinario è centrale. Per la redenzione nel Cartello mi sono ispiratoanchea Moby Dick di Herman Melville».
Secondo Ellroy,"Il Cartello” è il “Guerra e pace” dei narcos.
«Credo che il genere noir epoliziesco debbanomolto aiclassici. Per me è automaticolegareChandler e Conan Doylea Euripide o Eschilo per certe impalcature tragiche. Per noi del generesono fondamentali ancheil DonChisciotte o Dickens,per la sua attenzione alle classi più misere. Il Padrino diMario Puzo,poi leggendario filmdi FrancisFord Coppola, è una sorta di remake dell’Enrico IV di Shakespeare.Le trame sono incredibilmente simili».
Il muro Usa-Messico è un’altra sua ossessione.
«Questo libro volevo chiamarlo Il Muro, poi all’ultimo ho scelto Il Confine. Perché, oltre alla barriera fisica, volevo dipingere soprattutto quella morale. E cioè il confine tra i nostri istinti migliori e peggiori, il limite tra umanità e disumanità, tra gli angelie i demonidella nostra natura».
In molti suoi personaggi convivono il bene e il male.
«Sì, ma sono positivo. Sulla questione delmuro, per esempio,la stragrande maggioranzadei sostenitori diTrump ècontro la reclusione degli immigrati bambini arrivati in Usa senza genitori: se messi di fronte a una simile realtà, mostrerebberomolta piùumanità,ne sonocerto. Proprio comeaccadea chi vive al confine; qui da noi, con il Messicoa poche miglia, in venticinque anninonho mai visto discriminazioni razziali. Mai. Ciò fa capire la differenza tra chi vive quotidianamente alla frontiera e chi invece vuole costruire muri ignorando la realtà sul campo. Anche per questo, nonostante i miei libri molto duri, educo mio figlio senza predicare. Al contrario, gli ho sempre mostrato tutta la varietà, la gentilezza e la bontà del mondo. Che, da qualche parte, seppur nascoste, esistono».