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 2019  giugno 19 Mercoledì calendario

Il rapporto sulla povertà in Italia dice che al Nord la situazione peggiora

Stabile: è così che da qualche anno l’Istat definisce la povertà: 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta, 5 milioni di persone, tra le quali 1,2 milioni di bambini. Tra i dati emerge un nuovo elemento preoccupante: ormai non si tratta solo dei disoccupati e delle famiglie numerose del Mezzogiorno. La povertà si consolida infatti anche al Nord, e non solo perché lì si concentrano la maggior parte degli stranieri: aumenta di ampiezza e di intensità anche in quelle italiane al cento per cento.
In un Paese in cui ormai neanche il lavoro costituisce più una garanzia di benessere, perché è troppo poco, troppo frammentato, passa dal 4,7% al 5,7% l’incidenza delle famiglie che al Nord vivono in condizioni di povertà assoluta (il loro livello di spesa è cioè inferiore a quello che l’Istat individua come minimo per una determinata famiglia per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile) e aumenta in modo rilevante soprattutto nel Nord-Est anche l’incidenza della povertà relativa (che riguarda chi ha un livello di consumi inferiore alla soglia di povertà relativa convenzionale, stabilita tenendo conto dei consumi medi delle famiglie). Un peggioramento che gli stessi autori dell’indagine Istat non esitano a definire «un campanello d’allarme».
«Il peggioramento del Nord è cominciato nel 2008, – spiega Massimo Baldini, professore di Scienza delle Finanze all’Università di Modena e redattore del sito lavoce.info – quando l’incidenza della povertà assoluta è più che raddoppiata in tutti i territori. Al Nord tra il 2007 e il 2018 è passata dal 3,1% al 5,8%, al Sud dal 4,6% a 10%. Si sperava che con la ripresa, tra il 2014 e il 2015, questa tendenza si potesse invertire, ma la verità è che i numeri continuano a peggiorare. E quindi la novità che è emersa negli ultimi anni è che la povertà non è confinata al Sud, ma colpisce tutto il Paese, a cominciare dagli immigrati che vivono al Nord». E non solo: gli operai, le famiglie anche italianissime che negli anni si sono impoverite e che quindi non si sono potute permettere di acquistare una casa, e adesso vivono in affitto.
Il peggioramento è un po’ ovunque, soprattutto in riferimento alla povertà relativa: Nord, famiglie di soli italiani, l’incidenza passa tra il 2017 e il 2018 dal 15,2 al 15,8%. Nord-Est individui, dal 7,4 all’8,6%. Nord-Est famiglie, dal 5,5 al 6,6. Nord piccoli comuni, dal 5,7 al 7,2%. È vero che qua e là emerge qualche miglioramento al Sud, che però poco incide su una situazione gravissima: la quota delle famiglie in povertà assoluta è del 10% contro il 5,8% del Nord e il 5,3% del Centro, e quindi qualche piccolo miglioramento non solo non cambia la sostanza, ma risulta anche poco credibile.
Il peggioramento al Nord, e al Nord Est in particolare, emerge anche dall’Osservatorio di Demos & Pi, l’istituto di ricerca fondato da Ilvo Diamanti: un sondaggio di febbraio indica nel lavoro la maggiore fonte di preoccupazione di tutte le fasce della popolazione. Poi, a una certa distanza, arrivano la criminalità e gli immigrati per gli operai, o le tasse degli imprenditori. Però è da tempo che la mancanza di lavoro viene indicata, anche nel Nord.Est, come una priorità assoluta. E se da chi è più povero tra gli italiani gli stranieri vengono guardati con preoccupazione, come coloro che “rubano” quel poco che c’è, l’Istat dimostra che sono loro invece le principali vittime della povertà, con un’incidenza della povertà assoluta del 30,3% contro il 6,4% degli italiani.