Corriere della Sera, 19 giugno 2019
Draghi pensa all’Europe e se ne infischia di Trump
Il problema maggiore di Mario Draghi non è, almeno non ancora, Donald Trump. Da ieri, però, il presidente americano si è aggiunto alla lista di ostacoli che il presidente della Bce deve affrontare per indirizzare la politica monetaria europea.
Parlando al seminario annuale della Banca centrale a Sintra, in Portogallo, Draghi aveva segnalato, in mattinata, che l’istituzione di Francoforte sta studiando nuove misure di stimolo per contrastare l’incerta economia dell’Eurozona e la bassa inflazione. Parole che, sui mercati, hanno deprezzato l’euro rispetto al dollaro. Il fatto non è piaciuto a Trump, il quale è prontamente ricorso a Twitter per accusare il banchiere centrale di manipolare scorrettamente i cambi a favore delle esportazioni europee e a scapito di quelle degli Usa. Tra l’altro mettendo sullo stesso piano, per quel che riguarda la manipolazione valutaria, le autorità europee e quelle cinesi. Draghi ha risposto seccamente che la Bce non ha come target il tasso di cambio.
A Sintra, Draghi ha ribadito e rafforzato il messaggio che aveva prospettato giorni fa, sostenendo che la banca ha «considerevole spazio a disposizione» per incrementare il suo intervento sui mercati comprando altri titoli, riattivando cioè il programma di acquisti che aveva terminato nel dicembre scorso. Suggeriva inoltre la possibilità che «nelle prossime settimane» la Bce cambiasse temporaneamente il target sull’inflazione da poco sotto al 2% annuo a sopra questo limite e abbassasse ulteriormente i tassi d’interesse già a zero. Le parole – decise – avevano un effetto immediato sui mercati. I tassi d’interesse sui titoli di Stato europei scendevano, con il Bund ai minimi storici e con lo spread dei Btp italiani su quelli tedeschi in calo verso i 240 punti. Soprattutto, si indeboliva l’euro, che cadeva da oltre 1,124 dollari a 1,119. La determinazione mostrata dal presidente della Bce impressionava insomma gli investitori, con anche le Borse in rialzo.
Meno impressionato è sembrato Trump. «Mario Draghi ha appena annunciato che potrebbe arrivare un nuovo stimolo – ha scritto su Twitter – il che immediatamente ha fatto cadere l’euro nei confronti del dollaro, rendendo così a loro più facile competere contro gli Usa. Se la sono cavata così per anni, assieme alla Cina e ad altri». Un attacco insolitamente duro, per di più portato direttamente a una figura istituzionale citata per nome. Poco importa che il presidente americano chieda regolarmente che la Fed tagli i tassi d’interesse, che cioè produca essa stessa uno stimolo all’economia Usa: nella sua interpretazione sono gli altri a manovrare le valute.
Dazi
Conte: «Soffriamo la guerra dei dazi, lo dico sempre all’amico Trump»
La Bce difficilmente modificherà le sue eventuali scelte in ossequio a Trump. «Siamo pronti a usare tutti gli strumenti necessari per riportare il tasso d’inflazione al nostro obiettivo – è stata la reazione di Draghi al tweet trumpiano – E non abbiamo come obiettivo il tasso di cambio». Le parole del presidente americano sono però un’ulteriore pressione in un momento in cui è in gioco la credibilità della Bce: nel quale cioè potrebbe dover intervenire per stimolare l’economia con tassi d’interesse a zero e la necessità di rovesciare la decisione di chiudere il programma di acquisti di titoli sui mercati.
A Trump ieri si è rivolto anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Noi, la guerra dei dazi la stiamo soffrendo, lo dico sempre all’amico Trump».